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Ritmi circadiani. let’s fix them!

Benvenuti al primo appuntamento della rubrica del giovedì (che spera di protrarsi per tutti i giovedì esclusi quelli delle feste di natale e giorni in cui disporrò contemporaneamente di paracetamolo e vino rosso)

Oggi si parla di ritmi circadiani rovinati (ad esempio dal jet leg o dalla vita notturna del sabato-domenica), e di come risistemare tutto in modi costosissimi e avveniristici.

Da pochi giorni, un gruppo di studiosi del Dipartimento di neuroscienze cliniche dell’Università di Oxford in collaborazione con le case farmaceutiche pRed, Axolab, l’Università di Notre Dame (a Notre Dame, negli Stati uniti (in Indiana), non in Francia… maledetti coloni, gli spaccherei il culo, non avevano proprio fantasia a dare i nomi alle città) ha individuato un meccanismo che limita la capacità dell’organismo di adattarsi ai diversi tempi di alternanza di luce e del buio aka giorno-notte.
Numerosi studi hanno chiarito che quasi tutti gli esseri viventi sulla Terra hanno un orologio circadiano interno che mantiene l’organismo regolato sul ciclo di 24 ore, sincronizzando diverse funzioni, dall’appetito al sonno, con l’alternanza di luce e di oscurità. Quando si viaggia in zone con diversi fusi orari, tuttavia, per
adeguarsi al nuovo orario il nostro orologio interno impiega fino a un giorno per ogni ora di sfasamento, con il risultato di diversi giorni di affaticamento e scombussolamento.

Nei mammiferi, l’orologio circadiano è controllato da un’area del cervello detta nucleo superchiasmatico, localizzato nell’ipotalamo, che “sincronizza” ogni cellula del corpo sullo stesso ritmo biologico. Si tratta di un gruppo specializzato di neuroni collegato alle cellule gangliari retiniche fotosensibili, che contengono un pigmento chiamato melanopsina e seguono un tragitto (chiamato tratto retino-ipotalamico) che le collega al nucleo soprachiasmatico e che quindi forniscono alle cellule informazioni sulle condizioni della luce ambientale. I meccanismi precisi che consentono alla luce di unfluenzare le attività del sistema nervoso sono ancora poco chiari, ma sono stati identificati circa 100 geni coinvolti nella risposta alla luce e la sequenza di processi molecolari che entrano in gioco per ritarare
l’orologio circadiano.
In particolare, è stato chiarito il ruolo della molecola SIK1, che agisce arrestando questa risposta, agendo come un freno sulla regolazione dell’orologio biologico.
quando infatti i ricercatori bloccavano l’attività della SIK1, i topi trattati si adattavano più velocemente nel ciclo di luce.
Quindi ok, sugli umani non sono ancora stati condotti esperimenti ma le case farmaceutiche non mettono soldi in ricerca se non credono di avere un tornaconto futuro.

L’articolo originale, pubblicato sulla rinomata rivista “Cell” del quale fornisco un abstract (mentre io l’ho letto tutto appropriandomi del materiale per vie traverse ma tanto cazzo lo leggete? il mio abstract è mille volte meglio) in breve spiega che sono stati presi dei topi e sono stati esposti, a campione, a diversi cicli di luce-buio.
il meccanismo osservato, ben riassunto un questa immagine, jet leg cell effectspeiga che la proteina “cAMP response element binding protein” (CREB) entra nel nucleo delle singole cellule
del superchiasmatico in presenza di sorgenti luminose.
a questo punto il CRTC1 (ovvero CREB regulated transcriptor coactivator 1) induce l’espressione di Per1 e Sik1.
Per1 è una proteina dalle funzioni ancora poco note ma sembra che abbia a che fare con lo shiftamento del TTFL (transcriptional/translational feedback loops) che
appunto comunicherebbe alle cellule che l’orario sta cambiando e che ad esempio “sta sera si va a letto prima perché sta facendo buoi presto e domani il sole sorge
prima”.
la proteina Sik1 (salt inducible kinase 1) invece sembra agire come freno, ritardando l’azione dello spostamento dell’orologio (quindi contrastando l’azione di Per1
sul TTFL).
nei topi, l’abbattimento dell’espressione della proteina Sik1 ha fatto sì che le cavie si abituassero più velocemente alle nuove condizioni di luce-buio.
sia gli esperimenti in vivo che in vitro, danno risultati compatibili.

“Probabilmente mancano ancora molti anni per arrivare a una cura per il jet lag, ma la comprensione dei meccanismi che generano e regolano l’orologio circadiano fornisce un obiettivo terapeutico per aiutare l’organismo a rimanere sincronizzato con il ciclo solare”, ha commentato Russell Foster, direttore dello Sleep and Circadian Neuroscience Institute dell’Università di Oxford, che ha partecipato alla ricerca. “Questi farmaci hanno potenzialmente un ampio spettro di azione e potrebbero essere utili anche per le malattie mentali”.
A questo punto si evince che il dottor Russell Foster è convinto che la mia sia una malattia mentale e in parte ne sono convinto anche io, vediamo quanti di voi ne sono affetti!

my time schedule

Indirizzo del Blog! l’unico blog che tratta tutti come dei malati mentali

interfaccia uomo-macchina

Ricollegandosi ad un vecchio post che fa un po da introduzione a questo, voglio riproporre una delle trovate che ebbi nei tempi di scuola, lavorando con il mio fidato collaboratore non chè stimato compagno di banco DB. (che chiameremo DB che guarda caso potrebbe essere “compagno Di Banco” o DataBase dagli studi d’informatica m, e non come due lettere che combinate danno il suo NomeCognome)

Sebbene la nostra occupazione principale fosse disegnare sui banchi amenità di ogni genere (principalmente boscaioli che colluttavano con truci wurstel giganti o arceri scoccanti peni infuocati) per poi vederle cancellate l’indomani dal purificatore alcol etilico in dotazione ai bidelli, eravamo il top del top nella ricerca e nell’innovazione scientifica.

fino dalle elementari, quando ci viene insegnato il metodo del riporto varcata la soglia del 9, ci viene spiegato che il magico numero 9 oltre il quale viene fatto il riporto, non è stato scelto a caso, esattamente come non a caso è scelto il seguente riporto. Deriva infatti dal fatto che l’uomo (ma anche la donna n.d.a.) ha 10 dita, 5 per palmo.
Contare fino a dieci è un fatto di alzare o abbassare le dita. una volta che hai finito le dita, riporti la decina, di modo da sapere quante volte hai contato fino a 10.
Tutto ok.
semplice e funzionale. si impara a ragionare in base 10, si fanno i conti così dall’alba dei tempi e fino ad ora nessuno si è mai lamentato.

L’unico problema è comunicare con le dita, numeri maggiori di 10. in fatti con quale gesto comunico quanti riporti sono stati effettuati?
Molti usano il metodo così detto “Refrash” che consiste nel chiudere i pugni nel passaggio della decina.
Ad esempio un 16 verrà indicato come una combo “10 dita per alcuni secondi e poi altre 6 dita”.

a pensarci bene, si tratta di un pessimo modo. poteva andare bene nel paleolitico dove io ti davo due pecore in cambio di 6 galline, ma nella quotidianità odierna, sforare la decina è un lusso che tutti si concedono.

Da alcuni anni esiste un metodo migliore che il team Ricerca&Sviluppo cantastorie+DB ha sviluppato e testato per il popolo dell’Europa Unita. Viene chiamato sistema “in base 2”

Un attimo di attenzione prego:
Il codice binario si basa sul fatto che mettendo assieme dei cambiamenti di stato digitali (presenza-assenza, uno-zero, si-no) si possono creare combinazioni per esprimere uno stato analogico (“freddissimo-freddo-tiepido-caldo-caldissimo”, oppure “si al 100%-80%-40%-20%-0%”).
in base a questo sistema, utilizzando solo i numeri 1 e 0, si possono comunicare valori compresi tra 0 e millemila.

facciamo un esempio:
in binario
0 = 0
1 = 1
10 = 2
11 = 3
100 = 4
101 = 5
111 = 6
e così via. è molto semplice. si parte da destra verso sinistra e si eleva per 2 alla x (con x=posizione del numero) il numero che si incontra e poi si fa la somma.

binaries ovvero 0110100 = 52 perché 0 alla sesta=0, più 1 alla quinta=32, più 1 alla quarta=16, più 0 alla terza=0 e così via.

siccome le nostre dita sono binarie. potendo assumere ogni una lo stato assente-presente ovvero zero-uno, potremmo usarle per comporre numeri binari, col vantaggio di disporre di un numero di combinazioni da 1 a 1023.
quindi con una singola mano potremmo esprimere numeri comodamente fino a 31.

2013-05-28 19.42.46

Gli ottusi conservatori hanno cercato di farci fuori perché questo sistema mina le fondamenta del mercato nero di smercio di organi delle dita della mano, ma noi simo ancora qua. Potete uccidere le persone, ma non ucciderete mai un’idea!  (soprattutto se risiede in un blog che sta su 3 server oltre oceano)

è bello vedere che il programma protezione testimoni funziona ancora.

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Neodarwinismo ed evoluzione apparente di E.Coli

tutto nasce da un battibecco che casualmente mi sono ritrovato a seguire con interesse.
i due litiganti sono l’emerito professor Richard Lenski
e il sito conservatore Conservopedia (della quale non riporto il link, per disdegno).

per farla breve, Lenski nel 1988 ha coltivato in 12 provette, dei batteri di E. Coli (che vivono anche nell’ intestino umano), osservandoli generazione dopo generazione per 20 anni e documentando i cambiamenti avvenuti, mantenendo la sua promessa e pubblicando un ottimo articolo nel giugno del 2008, a ricerche concluse, e rendendolo PUBBLICO in pdf (e qui, il buon Lenski meriterebbe un applauso per lo spirito di condivisione)

il lavoro di Lenski, voleva essere quello i provare definitivamente la veridicità dell’evoluzione e del concetto di neodarwinismo, mettendo i batteri in un ambiente nel quale, per sopravvivere, avrebbero dovuto evolversi. l’E. Coli, ha un ciclo di vita molto breve, quindi in 20 anni lo scienziato ha analizzato circa 44000 generazioni di batteri, prendendone dei campioni ogni 500 generazioni, per poi poterle analizzare ad esperimento concluso, e tracciarne un quadro evolutivo che, secondo la teoria, avrebbe portato all’evoluzione del batterio, secondo piccole mutazioni genetiche consecutive.
come calcolato dallo stesso Lenski, durante i 20 anni si sono verificate più volte tutte le mutazioni possibili e, stando così le cose, l’esperimento può considerarsi concluso.

analizziamo con più precisione il lavoro del biologo:
(ma con meno precisione rispetto a leggersi il suo pdf)
i batteri sono stati coltivati in un terreno che conteneva un po’ di glucosio e molto citrato, perciò una volta esaurito il glucosio, i batteri avrebbero continuato a crescere solo utilizzando il citrato.

siccome i colibatteri in condizioni aerobiche (presenza di ossigeno) non sono in grado di utilizzare il citrato, avrebbero potuto continuare la crescita solo sviluppando tale capacità. dopo una serie di cambiamenti adattativi di scarso interesse evolutivo (ad esempio aumento delle dimensioni dei batteri), oppure degenerativi (mutazioni che hanno danneggiato gli apparati di riparazione del DNA, riducendo così la capacità dei batteri di neutralizzare le mutazioni che avvengono), dopo 31.500 generazioni è finalmente comparsa una nuova caratteristica: una parte dei batteri aveva acquisito la capacità di utilizzare il citrato, capacità che l’autore chiama “novità chiave”.

Lenski si è poi chiesto se tale acquisizione è dovuta ad una mutazione complessa e rara, oppure ad una sequenza di mutazioni delle quali la prima ha “preparato” la strada alle successive, fino ad arrivare all’ effetto cumulativo della comparsa di una nuova caratteristica. Analizzando i campioni congelati, l’autore si è accorto che è dopo 21.000 generazioni che i colibatteri di una delle 12 provette hanno subìto qualche mutazione ed è da quella provetta che discende il ceppo che 10.000 generazioni più tardi svilupperà la capacità di nutrirsi di citrato; questo è stato confermato sperimentalmente, ripetendo il percorso evolutivo col ricoltivare i batteri congelati dopo la 21.000 generazione.

quindi non si tratta di una rara e complessa mutazione, ma di una sequenza di piccole mutazioni, con il risultato finale di acquisizione di una nuova caratteristica. questo è precisamente il meccanismo darwiniano di accumulo di piccole variazioni con comparsa di nuove caratteristiche (si tratta comunque di un’ipotesi). per provare la sequenza delle mutazioni Lenski avrebbe dovuto sequenziare il DNA nelle diverse generazioni di batteri e descrivere esattamente le mutazioni ed il rapporto tra esse, cosa che l’autore non ha fatto e che intende fare in futuro.

poiché l’inabilità dei colibatteri di nutrirsi di citrato è utilizzata in laboratorio come caratteristica distintiva per la loro identificazione, Lenski conclude che la scomparsa di tale caratteristica si può considerare come trasformazione di una specie in un’altra. insomma, sarebbe in questo modo provato che piccole mutazioni nel corso della riproduzione possono avere un effetto cumulativo, con la comparsa di nuove caratteristiche e trasformazione di una specie in un’altra.
qual è il significato di ciò che si è verificato nell’esperimento?
che gli E.Coli potessero sviluppare mutazioni e nutrirsi di citrato, è stato scoperto molti anni prima; il fatto interessante è semmai, aver provato sperimentalmente l’origine di questa mutazione.

quindi ok, l’evoluzione è vera? siamo tutti d’accordo?
per la verità, no.
qualcuno avanza obiezioni e afferma che i colibatteri utilizzanti citrato sono una specie diversa, ma è soltanto un gioco di parole, perché sarebbe come se gli uomoini fossero considerati di specie diverse rispetto solo perché alcuni tollerano il latte di mucca e altri no.

per quanto riguarda la conclusione che l’abilità di nutrirsi di citrato sia una “novità chiave”? quì ci viene in aiuto il buon professor Enzo Penetta (che non me ne voglia male se gli copio parte del materiale ma è molto ben scritto) che ci ricorda che tutti i colibatteri sono in grado di nutrirsi di citrato, ma solo in condizioni anaerobiche, cioè in assenza di ossigeno. Quindi le macchine molecolari che utilizzano il citrato sono già presenti nei batteri e, in condizioni anaerobiche, funziona anche una pompa molecolare che consente al batterio di trasportare il citrato dall’ambiente all’interno della cellula, funzione che è soppressa (o inespressa) quando è inutile, cioè in condizioni aerobiche. Perciò basterebbe un guasto nell’interruttore della pompa per lasciarla sempre attiva, cosa che è antieconomica e dannosa per la sopravvivenza del batterio in condizioni normali (in natura). Quindi la “novità chiave”, verosimilmente, è un guasto in un meccanismo già esistente, non la creazione di una nuova e complessa macchina molecolare. Cambiamenti di questo tipo si conoscono da tempo e in dettaglio, ma non portano certo ad un’evoluzione direzionale tale da trasformare un batterio addirittura in un batteriologo. L’armadillo non si può essere formato con un continuo processo di ablazione di funzionalità, da una cellula batterica, perché rimuovere funzionalità significa semplificare un meccanismo e significherebbe affermare che l’armadillo è una semplificazione del batterio. In altre parole, le conclusioni di Lenski sono l’ennesima testimonianza della incapacità nel distinguere tra l’alterazione del funzionamento di una struttura cellulare complessa già esistente per danno da mutazione (evento degenerativo e inutile per l’evoluzione) e la comparsa di una struttura cellulare complessa nuova in un organismo che prima ne era sprovvisto (evento indispensabile per potere immaginare un’evoluzione direzionale con trasformazione di un organismo in un altro, con la comparsa di forme nuove e più complesse di vita).Considerando poi che nel periodo di osservazione si sono verificate più volte tutte le mutazioni possibili, il risultato dell’esperimento, più che una prova di evoluzione, è semmai la fine dei tentativi di provare sperimentalmente l’evoluzione.
cosa strana è che parrebbe che le maggiori riviste divulgative (anche quelle pro-evoluzione come “le scienze”, versione italiana di Scientific American) non abbiano menzionato l’articolo di Lenski.
secondo le mie ricerche, solo la rivista “new scientist” ha pubblicato in rete il lavoro del biologo Lenski.
il biologo (evoluzionista) Jerry Coyne, dell’Università di Chicago, ha poi dichiarato che «l’esperimento è la conclusione che caratteristiche così complesse possono evolvere da eventi improbabili, che è esattamente ciò che i creazionisti considerano impossibile».

quello che invece ha riscontrato un certo successo mediatico, è il dibattito tra conservopedia e lo stesso Lenski (qui trovate l’intero esilarante dibattito).
conservopedia, che voleva esprimere disaccordo con le conclusioni tratte dall’esperimento, anziché commissionare un commento ad un esperto in grado di spiegare ai lettori lo scarso significato dei risultati e l’inconsistenza delle conclusioni, commissiona il lavoro a Andy Schlafly, laureato in giurisprudenza. e qui inizia la parte più divertente.
Conservopedia in pratica, si è limitata ad aggredire Lenski in modo goffo e maleducato, senza entrare minimamente nei meriti scientifici dell’esperimento, insinuando che i risultati dello studio sono falsi e che l’articolo non è stato corretto a dovere prima della pubblicazione. all’autore sono state poi fatte domande di chiarimento, alcune del tutto inconsistenti, ventilando anche l’ipotesi di chiedere campioni di colibatteri per poter ripetere l’esperimento e verificare la veridicità dei risultati.

Lenski, scienziato stimato con oltre 100 pubblicazioni nelle riviste specializzate e comunicatore navigato qual’è ha risposto per le rime, ridicolizzando la già ridicola conservopedia. si è anche dimostrato sarcastico, dichiarandosi pronto a fornire i colibatteri a persone idonee ad utilizzali, ricordando a Schlafly che nel frattempo può disporre del miliardo di colibatteri che vivono nel proprio intestino.

questo scontro di opinioni ha divertito me e un sacco di persone tra cui Piergiorgio Odifreddi che ne dedica una pagina persino nel quotidiano “”la repubblica” dell’ 11-ott-2008.

bene,
quindi,
al di la delle risate, qual’è il risultato di Lenski?
direi nessuno.
nel suo esperimento sono state fatte delle considerazioni partendo da assunti scorretti.
l’esperimento sull’evoluzione dei batteri si è rivelato un non esperimento sull’evoluzione.
per concludere cito lo stesso Enzo Pennetta in uno dei suoi articoli, che parlando di “evoluzione per guasto” (se mi passate il termine) riporta:

Come si può dunque affermare che il solo cambiamento del contenuto genetico possa essere indicato come evoluzione? I danni genetici esistono e non si può evitare di affrontare questo punto punto quando si parla di evoluzione, quindi non ogni cambiamento genetico è evoluzione.
Nell’esperimento di Lenski si assiste dunque a qualcosa assimilabile alla genesi di una cellula cancerosa, al cambiamento dell’espressione di un gene preesistente, e non alla nascita di una nuova proteina con una nuova funzione, un cambiamento che è stato fatto diventare positivo solo alterando artificialmente il terreno di coltura di E. coli.
Ci si trova dunque nell’obbligo di compiere una scelta: o il caso dell’E. coli non è evoluzione ma alterazione di una funzione per danneggiamento/aggiramento di un meccanismo di blocco, o anche le cellule cancerose dovranno essere riportate come esempi di evoluzione.

se avete le palle e v’interessa, leggetevi in ordine, gli articoli di risposta del professor Pennetta al lavoro di Lenski.
una spiegazione approfondita, può solo giovarci.

primo

secondo

terzo

ovviamente noi della redazione siamo più che ben disposti alla critica e alle correzioni, purché non siano fatte a malo modo.

Bosone di Higgs, spiegazione per niubbi

premetto che questo articolo nasce per colpa dell’amico dello spazio che mente studiavo fisica delle particelle e imprecavo contro la complessità della matematica applicata ai quanti, mi disse ” Già Feynman all epoca aveva notato questa incompatibilità (tra matematica e comprensibilità n.d.t.), ecco perché ha deciso di ripiegare su dei diagrammi, perché le equazione sono troppo complesse e lontane dal esperienza e senso comune”
tutti amano Feynman.
inutile dirlo.

quindi proverò a spiegare grosso modo come funziona il Bosone di Higgs, facendo ricorso il meno possibile alla matematica e copiaincollando un po di materiale creativecommons (al meno spero) che ho trovato in rete.

partiamo da molto indietro.
lo studio della materia ha da sempre puntato al fatto che scindendola, si sarebbe arrivati a dei componenti fondamentali che la compongono, o che comunque mischiando dei componenti fondamentali si potesse ottenere tutto il resto.
alcuni alchimisti identificarono i componenti fondamentali della materia come fuoco-terra-acqua-aria.
poi altri hanno aggiunto un sacco di fantasie mettendoci dentro legno, vetro, peli di cane, intuito femminile, il numero si scarpe di Biratore e così via.
molti secoli prima alcuni filosofi greci teorizzarono dei modelli vagamente atomici, ma citarli non vale, perché i filosofi greci hanno sproloquiato su tutto e quindi parlando di tutto a caso, la matematica suggerisce che qualcuno di loro doveva pure azzeccare.

in epoca più moderna, con l’avvento del metodo scientifico, e della morte dei filosofi greci, le cose sono divantate più chiare e gli studiosi hanno dapprima compreso che ogni materiale è un composto formato da un certo numero di mattoncini (chiamati atomi) legati tra di loro. fino a quì è chiaro no?

nel tempo gli atomi sono stati classificati nelle tavole periodiche degli elementi e testando i vari modelli atomici si è capito che gli atomi sono poco più di un centinaio, e sono composti da un nucleo e da un certo numero di elettroni che ci orbitano attorno.

approfondendo ancora, si evinse che i nuclei sono composti di protoni e neutroni e quindi si disse che neutroni protone e elettroni dovevano essere le particelle fondamentali della materia (ovvero particelle che non si possono sminuzzare ulteriormente).

non tanto tempo fa gli scienziati hanno concluso che le particelle fondamentali erano altre, i quark; che furono identificati come i seguenti 3:

– quello Up

– quello Down

– quello bello (charm)

Quindi siamo d’accordo così: tutto è composto da quark (tranne l’elettrone).

per esempio un protone è costituito da due “quark up” e un “quark down”, un neutrone da “due quark down” e un “quark up”
dopo qualche anno altri scienziati, probabilmente non riuscendo a rimorchiare delle ragazze carine, una sera si sono ubriacati e hanno detto che se i quark fossero stati 6 invece che 3, le equazioni del modello standard sarebbero state più belle e così è stato deciso: da oggi i quark sono 6 perché semplificano i calcoli. caso vuole che successivamente, alcune verifiche sperimentali hanno confermato che in effetti i quark erano 6.

prima ho parlato di “Modello Standard”.
il MS è quel modello matematico degli anni ’70 che spiega un po tutte le interazioni tra le 12 particelle fondamentali (e sì, nel frattempo, da 6 sono diventate 12) note e tutte le forze fondamentali (tranne la gravità che ancora non gli piace).
piano piano, a valle delle varie scoperte scientifiche, il MS ci sta convincendo di essere un modello che offre spiegazioni affidabili nel mondo delle piccolissime particelle.

Per farla breve, oggi gli scienziati pensano che tutte le cose siano fatte dalle particelle che vedi in questo disegnino,ovvero di quark e i leptoni, che si combinano tra loro come in un gioco delle costruzioni.

Questi costituenti elementari si parlano scambiandosi delle altre particelle “messaggere”, che sono i fattorini delle forze fondamentali della natura: il fotone (la luce in tutte le sue forme) trasporta la forza elettromagnetica, che è quella responsabile di tutta la chimica e le interazioni di tutti i giorni; i gluoni scambiano la forza “forte”, che tiene insieme i quark e i nuclei degli atomi; le particelle W e Z si occupano di scambiare la forza “debole”, che è quella responsabile della radioattività. Hai ragione, c’è anche la gravità coi gravitoni, che però meriterebbe in discorso a parte che facciamo un’altra volta, d’accordo? Bene, mi dirai tu, dunque gli scienziati sanno tutto, abbiamo tutti gli ingredienti della materia e pure i collanti per tenerla insieme: non siete soddisfatti? No, non del tutto.

il punto è che il modello standard con tutte le sue formuline che descrivono l’interazione tra leptoni quark e quant’altro, funziona benissimo finché non si considera la massa delle particelle come nulla, anche se sappiamo che tranne la luce, tutto quello che ci circonda, effettivamente, una massa cel’ha.
ma appena nelle formule ci s’infilano le masse, va tutto a pallino, e questo era un bel problema.

Poi negli anni 60 il signor Peter Higgs, in piccolo, alla fine di un suo libro, così un po per ridere disse “ma così per gioco, intanto che facevo colazione, ho ipotizzato che nell’universo niente abbia massa, ma che le particelle acquisiscono massa quando passano attraverso un campo che fantasiosamente chiamerò “campo di Higgs” che è come una marmellata che pervade tutto l’universo e quando le particelle ci passano attraverso, vengono frenate e s’invischiano nella marmellata, diventando pesanti […] ora vado a giocare a Dungeons&Dragons con mia figlia, ci vediamo più tardi, ciao.”
in altri termini Higgs ci diceva che tutte le particelle fondamentali, se fatte viaggiare fuori dalla marmellata, vanno velocissime (velocità della luce) e ci diceva anche che appena entrate nella marmellata, per il principio della conservazione dell’energia (nulla si crea e nulla si distrugge), le particelle più veloci sarebbero state quelle meno massiccie e più energetiche (vedi gli elettroni) e le particelle più lente sarebbero state quelle meno energetiche e più massicce.
Tradotta in equazioni l’idea funzionava: le particelle acquisivano massa solo se viaggiavano nel campo di Higgs e le equazioni dell Modello Standard rimanevano valide senza doverle pasticciare ulteriormente.

da quì si pensò che ogni tanto questa marmellata potesse aggrumolarsi sotto forma di particella, rendendola così individuabile, poiché individuare la marmellata è difficile visto che anche noi siamo nella marmellata (sarebbe come individuare un fotone in una stanza illuminata).
ecco, il bosone di Higgs, se esiste, è il condensato di questo campo che pervaderebbe tutto e sarebbe il responsabile della massa di tutte le altre particelle.
quindi, come cercare questa particella?
semplice! intanto che gli americani si preparano ad ingozzarsi di tacchino ripieno per la festa della liberazione il 4 luglio, in Europa si lanciano fasci di protoni ad altissima energia all’interno degli acceleratori di particelle (come il Large Hadron Collider, Lhc) facendoli scontrare.
Dalle collisioni tra i protoni che si spaccano in frantumi, si generano molte particelle elementari (leptoni, quark, bosoni W e Z, ecc), con caratteristiche energetiche note. Lì in mezzo potrebbe formarsi anche l’Higgs, che si individuerebbe come un valore imprevisto qualsiasi (sembra un sistema stupido né? significa cercare un’anomalia).

poi nel marasma di dati che escono dagli acceleratori gli scienziati cercano se c’è qualcosa di strano o non previsto… si cercano delle tracce;
per esempio una massa troppo elevata, un picco di energia o una collisione strana tra particelle e si calcola se questo strano fenomeno può derivare dalla presenza del grumo di marmellata o “bosone di Higgs”
in genere, più energia si usa per far scontrare le particelle, più pezzetti ne scaturiscono e più divertente diventa il tutto.

Come si passa da traccia a prova?
Gli scienziati misurano la significatività statistica, cioè la probabilità che quel picco a 125 gigaelettronvolt sia solo frutto del caso, e non dovuto alla reale formazione del bosone di Higgs. Si parla quindi di sigma (link a wikipedia).

ora di sigma ne abbiamo 5.

in genere più sigma ci sono e piu sei sicuro.
5 sigma (link interno) (0,000028% di errore) significha che sei sicurissimo; è un po come misurare la probabilità che la tua ragazza ti faccia le corna con il tuo vicino di casa brutto intanto che leggi questo articolo.

5 sigma è sufficiente a convincere me, ma non del tutto sufficiente a convincere gli scienziati del CERN che ancora ci vanno piano con gli applausi. loro sono modesti (dopo la figuraccia dei neutrini FTL…).
quello che avrebbero trovato è un bosone di Higgs del peso di 126 GeV  quindi circa 130 volte il peso di un protone, che ci ha fatto compagnia per pochi Yoctosecondi quindi per un ciclo vitale veloce quanto un orgasmo maschile.
Ma potrebbero essercene tanti altri di questi grumi, di varie dimensioni e sapori.

già che ci soon ci metto anche un video, che le immagini in movimento non guastano mai.

insomma, adesso vado anche io di fantasia come fece Higgs e i greci prima di lui, avanzando una teoria del tutto a caso:
ma se si scoprisse che il campo di Higgs diminuisce intorno ai suoi bosoni, potremmo magari fare un tunnel nello spazio nel quale l’accelerazione sarebbe meno faticosa un virtù del fatto che dentro questo tunnel gli oggetti risulterebbero meno massicci e più energetivi, permettendoci di creare dei nerdissimi “Mass Relays” all’interno del sistema solare (ma non oltre, perché per viaggiare nelle altre galassie bisognerebbe andare molto più veloce della luce).

non so,
adesso a a furia di parlare di marmellata m’è venuta fame quindi vado a magiare.
ci sentiamo più avanti quando farò delle errate corrige.

Categorie:Articoli NERD, Scienze

Struttura e funzionamento del cervello emotivo

PREFAZIONE:
l’articolo cerca di spiegare i retroscena delle emozioni, da un punto di vista principalmente scientifico e non new age.
la redazione non intende offendere le proprietà intellettuali di nessuno, ma solo fare un grosso riassunto di tutto quello che ho letto e di quello che ho capito, per favorire la divulgazione degli argomenti trattati.
sostanzialmente questo articolo è un mosaco di informazioni da wikipedia, due spettacolari articoli maltradotti dall’ inglese o da chissà quale lingua e informazioni rubate dal libro universitario di neuroscienze del tenente Jamamoto.

tutto è iniziato quando un brutto giorno mi sono trovato a dover gestire delle emozioni che mi volevano spingere ad adottare una linea di comportamento che, analizzata con la dovuta calma, ritenevo inappropirata ed errata.
insomma, come funziona ‘sta cosa? perché? e quando ho scoperto che capita ad un sacco di persone, ho deciso di raccogliere qualche dato.
fatevi i conti in tasca e vedrete che sarà successo anche a voi. è normale;
per il semplice motivo che il cervello umano funziona così. la nostra coscienza vive in una struttira che è una compresenza di emotività ed intelletto e se si vogliono fare delle analisi su noi stessi, dobbiamo prima passare attraverso un’analisi delle strutture organiche che ci ospitano.
si può scrivere un programma per computer, solo quando si conosce la piattaforma hardware sul quale il software andrà a funzionare
Non si può fare il contrario. Mi spiace.
i programmi per MAC non vanno su windows, anche se MAC e PC sono pur sempre dei calcolatori.
I giochi della PS3 non funzionano sulla Xbox360 anche se sono console di medesima generazione.
se vogliamo capire il nostro pensiero, è utile conoscere l’organicità del nostro corpo.
quindi dopo questa prefazione atta a giustificarmi, parto a testa bassa a descrivere le fondamentali sezioni del cervello, tralasciando la robaccia che non ci interessa e dividendo tutto per capitoli di modo che certi pezzi possano essere skippati senza perdere troppo il filo del discorso.

SISTEMA LIMBICO

Tradizionalmente si intende come sistema limbico un gruppo di strutture neurologiche situate tra il tronco encefalico e la corteccia cerebrale.
Il tronco encefalico è la parte più primitiva del cervello che l’uomo ha in comune con tutte le specie dotate di un sistema nervoso particolarmente sviluppato (tipo le scimmie, le suocere e alcuni calciatori di serie B).

Esso circonda l’estremità cefalica del midollo spinale. Regola funzioni vegetative fondamentali ad assicurare la
sopravvivenza e controlla reazioni e movimenti stereotipati.
secondo i modelli attuali, si ritiene che questa parte “interna” del cervello sia più primitiva e da essa derivarono i cosiddetti centri emozionali, mentre la neocorteccia (o isocorteccia) ospita tutte quelle funzioni umane più evolute, connesse ad esempio con la verbalità, l’istruzione convenzionale, i ricordi…

anziché dilungarmi e spiegare dove si trova tutta questa robaccia, allego questa immagine che mi sembra piuttosto chiara.

il sistema limbico, è costituito grosso modo da tutta quello robaccia colorata interna, con tutte quelle freccine che specificano i nomi delle varie sezioni che lo compongono

sembrerebbe che la neocorteccia (la parte esterna del cervello, piena di ciccette) si sia evoluta dopo, sfruttando come base di partenza proprio la preesistente struttura cerebrale del sistema limbico che guarda guarda, è proprio la parte del cervello incaricata della generazione delle emozioni.
Il fatto che il cervello “pensante” si sia evoluto da quello emozionale, ci dice molto sui rapporti tra pensiero e
sentimento: molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale.
Le radici più antiche della nostra vita emotiva affondano nel senso dell’olfatto, cioè nel lobo olfattivo o rinencefalo.
Nei rettili, uccelli, anfibi e pesci questo rappresenta tutt’ora la regione suprema del cervello. Infatti l’olfatto era un senso d’importanza fondamentale ai fini della sopravvivenza.
Il centro olfattivo era costituito da un sottile strato di neuroni che recepiva lo stimolo olfattivo e lo classificava
nelle principali categorie: nemico o pasto potenziale, commestibile o indigesto, sessualmente disponibile o non disponibile
(n.d.a. gli uomini hanno perso l’uso dell’olfatto porprio perché tutte le donne dal XIX Sec ad oggi, odorano di “sessualmente non disponibile” e da allora hanno inventato un sacco di cose come la fisica dei quanti, la biologia di sintesi e l’ingenieria dei materiali al semplice scopo di distrarsi. personalmente punto sulla biologia di sintesi perché l’unica speranza che ho di accoppiarmi è quella di creare una donna partendo da delle cellule staminali e da alcuni transistor che tengo in un cassetto).

Un secondo strato di cellule inviava, attraverso il sistema nervoso, messaggi riflessi(1) per informare l’organismo sul da
farsi: fuggire, inseguire, mordere, sputare..
(1)quindi messaggi che vengono eseguiti “senza ragionare” ovvero senza che le informazioni vengano elaborate razionalmente,
ma istintivamente (come ad esempio togliere le mani dal fuoco quando ci si sta per scottare)

Dal momento che per noi gli stimoli olfattivi sono meno importanti, nel corso dell’evoluzione questo sistema ha assunto altri ruoli.
gia nei mammiferi, il lobo olfattivo è di importanza più limitata rispetto ai rettili e sempre nei mammiferi, soprattutto in quelle specie considerate più intelligenti, attorno alla parte limbica del cervello, si sviluppa la neocorteccia responsabile del pensiero evoluto.

a differenza della neocorteccia, la parte interna del cervello aggiunge al repertorio cerebrale le reazioni emotive che hanno più specificamente a che fare con le quattro funzioni della sopravvivenza ( nutrizione, lotta, fuga, riproduzione) e le emozioni che gli sono proprie: ira, rabbia, paura, piacere, desiderio ecc.

il sistema limbico non è però da analizzare come una porzione cerebrale statica e assolutamente immutabile, ma è anch’essa soggetta ad alcuni processi di apprendimento e memorizzazione, anche se in modo profondamente più lento e differente da
quanto accade per la neocorteccia. ciò è responsabile del fatto che un sacco di donne lasciano il proprio ragazzo perché a loro dire è uno stronzo, per poi trovarsene uno tale e quale.
nelle specie prive di neocorteccia, come i rettili, manca l’affetto materno: quando i piccoli escono dall’uovo, devono a volte nascondersi per non essere divorati dai loro stessi genitori.
Negli esseri umani il legame protettivo tra genitori e figli consente che gran parte della maturazione del sistema nervoso prosegua nel corso dell’infanzia. Infatti durante l’infanzia il cervello continua a svilupparsi.
Quando la massa della neocorteccia aumenta, parallelamente a tale aumento si osserva un moltiplicarsi delle
interconnessioni dei circuiti cerebrali.

quindi possiamo dire che non v’è una stretta divisione dei compiti. le emozioni grezze vengono da prima processate dalle strutture primigene del cervello, ma la neocorteccia rende possibili le finezze e la complessità della vita emozionale.

Nei primati le interconnessioni tra neocorteccia e sistema limbico sono infatti potenziate rispetto ad altre specie, e lo sono immensamente di più negli esseri umani.

senza l’influenza modulatrice della neocorteccia l’attività del sistema limbico può essere la causa di crisi anormali e incontrollabili di rabbia o di paura.
una congrua espressione e manifestazione delle emozioni richiede quindi, anche il contributo delle aree più evolute del cervello.
Il sistema limbico, globalmente serve anche a regolare certi meccanismi fondamentali che permettono la vita.
una persona in coma, pur avendo perduto temporaneamente l’uso di quelle porzioni della neocorteccia che si richiedono per rispondere al mondo esterno e per interagire con esso, continua a vivere perché il sistema limbico, insieme con il tronco encefalico, mantengono e regolano le funzioni corporee vitali (ma tutte queste cosette le sapete già, se no no sarestie finiti in questo blog).

Ora entriamo all’interno di questi meccanismi analizzando ciò che sono riuscito a comprendere finora e valutando anche alcune ipotesi che però non hanno ancora potuto beneficiare di studi e dimostrazioni scientifiche perché le ho appena inventate a fronte di ragionamenti personali che non so avvallare come vorrei, non avendo un laboratorio adeguato, una laurea in neuroscienze, i permessi governativi e un abbondantissimo numero di cavie umane da infilzare di elettrodi se non me stesso il lunedì mattina.

se non si era ancora capito, questo articolo ha lo scopo di dare coscienza al lettore di cosa accade quando è soggetto a forti stimoli emozionali, di modo da dargli la possibilità (remota) di controllare o se non altro capire che cosa sta succedendo.
per proseguire oltre, è necessario analizzare (anche se superficialmente) una per una le parti chiave del sistema limbico e delle sue interazioni con la neocorteccia.

questa è una vista frontale che magari trovata utile, magari no, ma cazzi vostri.

L’IPOTALAMO

L’ipotalamo è forse la parte più importante del sistema limbico. E’ la singola parte più complessa e stupefacente del cervello stesso, per questo è anche detta “il cervello nel cervello”.
Ha la grandezza di un pisello (no, non quello) e pesa circa 4 grammi.
Regola:
fame,
sete,
sonno,
veglia,
temperatura corporea,
equilibri chimici,
ritmo circadiano,
ormoni,
sesso (tranne che per gli scrittori della redazione),
emozioni, mantenendo l’omeostasi di tutte queste funzioni.

L’ipotalamo controlla i meccanismi omeostatici del corpo per mezzo della retroazione.
quindi grosso modo, attiva dei processi chimici per aumentare la concentrazione di ormone xxx nel sangue, poi analizza il sangue ed eventualmente corregge il tiro se la concentrazione non va bene.

L’ipotalamo è anche connesso ad alcune strutture dei nervi ottici e la parte posteriore dell’ipotalamo è coinvolta nel senso dell’olfatto.
I neuroni ipotalamici funzionano da ghiandole endocrine (quindi generano ormoni) e quando si studia endocrinologia, principalmente si studia le funzioni dell’asse gonadi-surreni-ipotalamo considerando che sono i principali organi dedicati alla secrezione ormonale.
Quelli dei nuclei sopraottici e paraventricolari sintetizzano gli ormoni rilasciati poi dalla parte posteriore dell’ipofisi : l’ADH (ormone che se è a zero, ti disidrati perché continui ad urinare) e l’OT (ossitocina, chiamato anche ormone dell’amore, che se cerchi su wikipedia in italiano dice che serve solo durante il parto/allattamento ma mi risulta si tratti di un ormone strettamente collegato con la felicità, il senso di benessere e in breve durante l’orgasmo (meglio se con un partner diverso da se stesso) viene liberata un mucchio di ossitocina ed è per quello che ci si sente bene oltre che ad essere responsabile del rafforzamento dei legami interpersonali quindi niente stronzate, il sesso rafforza i legami… sono le persone che li rovinano).

gli altri ormoni secreti dall’ipotalamo sono
il GRH, ormone liberatore per il GH o STH (ormone della crescita o somatotropina o a volte GDF-1. favorisce la crescita dei tessuti scheletrico-muscoloscheletrici e favorisce il dimagrimento)
il GIH, ormone inibitore per il GH (altrimenti, eccessi di GH producono gigantismo)
il CRH, ormone liberatore per la corticotropina
il TRH, ormone liberatore per la tireotropina
il GnRH, ormone liberatore per le gonadotropine (diciamo “ormoni sessuali” ma sono molto in voga come doping tra ciclisti e compagnia bella)
il PRH, ormone liberatore per la prolattina o PRL (fa crescere le minne)
il PIH, ormone inibitore per la prolattina.
Essi stimolano / controllano il rilascio degli ormoni dell’ipofisi anteriore, cioè l’ormone della crescita e gli ormoni che stimolano a loro volta la secrezione ormonale della tiroide, della corteccia surrenale e delle gonadi.
L’ipotalamo concorre quindi indirettamente al controllo del funzionamento di ogni cellula del corpo, governando attraverso una combinazione di messaggi elettrici e chimici il funzionamento dell’ipofisi. Funziona, quindi, come un anello di congiunzione tra il sistema nervoso e il sistema endocrino.

L’ipotalamo gestisce anche
la veglia,
l’appetito,
la vasocostrizione/vasodilatazione (anche se questa è gestita forse anche da altre strutture)
mantenimeto temperatura corporea
e siccome alcuni suoi neuroni si innervano nel tronco cerebralee nel midollo spinale si ritiene che abbia ache fare con i sistemi autonomi inferiori e superiori.

IPOFISI

produce
GH (vedi sopra)
PRL (vedi sopra)
Si pensa possa promuovere l’accrescimento corporeo stimolando indirettamente il fegato a produrre certi fattori di crescita che, a loro volta, accelerano il trasporto di aminoacidi nelle cellule, aumentandone di fatto l’anabolismo.
Controlla l’accrescimento di ossa, muscoli e altri tessuti.
Stimola il metabolismo dei grassi a discapito dei carboidrati.
Ha la funzione di avviare e mantenere la produzione del latte da parte delle mammelle per l’allattamento della prole.
TSH o ormone tireostimolante o tireotropina (gestione della tiroide, che gestisce altri ormoni)
ACTH o adenocorticotropina o ormone adrenocorticotropo (gestione corteccia e surreni, che gestiscono altri ormoni)
FSH o ormone follicolo stimolante (storie di peni, sperma uteri vagine ovulazioni e tutto quello che riguarda l’industria del film porno)
LH o ormone luteinizzante (utero e ovaie, progesterone e estrogeni; mentre nel maschio fa centra con lo sviluppo dei testicoli quindi col testosterone)l’azione dell’ipofisi è in buona parte regolata dall’ipotalamo che gli comunica cosa secernere e quando

NEUROIPOFISI

La neuroipofisi, o ipofisi posteriore, è sede di immagazzinamento e rilascio in circolo di due ormoni: l’ADH e l’OT, che però non vengono sintetizzati dalle cellule della neuroipofisi, ma da altri neuroni dell’ipotalamo.
Dal nucleo di questi neuroni ipotalamici gli ormoni decorrono lungo gli assoni ( tratto ipotalamo-neuroipofisario) e raggiungono i vasi della neuroipofisi.
Il rilascio nel sangue di ADH e di OT è controllato da stimoli nervosi e non da ormoni liberatori, che fanno invece scattare l’attività secretoria dell’adenoipofisi.

PREMESSA ALLA QUALE NON SO DARE UN TITOLO

Prima di esaminare le altre parti del sistema limbico, è utile fare una premessa.
Da millenni i filosofi prima e gli psicologi poi, hanno separato pensiero e sentimento, cognizione ed emozione.
E’ importante comprendere che nei processi cognitivi vi è una parte consapevole e una parte inconsapevole: infatti noi siamo coscienti del risultato finale di un processo ( ad esempio ricordare dove siamo stati ieri mattina oppure riconoscere che l’oggetto che stiamo guardando è una bottiglia), ma non siamo affatto consapevoli dei meccanismi attraverso i quali il nostro cervello è riuscito a tirare fuori queste informazioni.
E’ inutile pensare che non è vero.
fidatevi, ad essi non abbiamo accesso diretto.
E’ possibile però studiare questi meccanismi. Gli scienziati possono cioè ricostruire in che modo il cervello elabora a livello inconscio l’informazione quando per esempio percepisce degli stimoli visivi. in linea teorica, credo si possono percorrere tutte le tappe di questa elaborazione, isolare e monitorare i percorsi elettrochimici che vengono scatenati da un evento semplice (ad esempio il fatto di vedere una mela e riconoscere che si tratti di una mela)
in modo simile, si può analizzare come il cervello elabora i processi emotivi elementari e quale uso ne fa.
Come dire che i processi sottostanti alla cognizione e alla emozione si possono studiare con gli stessi strumenti concettuali e sperimentali, ricordando che entrambi implicano una elaborazione inconscia dell’informazione e, sulla base di questa, la generazione, ma non sempre, di un contenuto cosciente.
è inutile dire che questa analisi non è interamente fattibile nella realtà, perché il governo non ha il permesso di infilare centinaia di elettrodi nel cervello umano, e anche se lo si potesse fare, bisognerebbe essere in grado di conoscere perfettamente la rete neurale del soggetto di analisi, considerando che ovviamente ci devono essere delle differenze tra le strutture cerebrali dei vari individui (differenze che non siamo ancora riusciti a quantificare e rappresentare sufficientemente bene)
quello che ad una analisi strutturale del cerrvello sembra chiaro è che la mente ha sia pensieri che emozioni e studiare i primi senza le seconde è lasciare le cose a metà.
A questo scopo oggi si parla quindi di “scienza della mente”, comprendendo appunto tutti e due questi aspetti.
Mi preme sottolineare che il lavoro che segue origina da questo tipo di presupposti.

Il mondo delle emozioni: alcuni concetti di base per familiarizzare con esso
La maggior parte dei teorici delle emozioni ritengono che esistono delle emozioni fondamentali elementari che condividiamo con parte del mondo animale ( paura, gioia, ira, sorpresa, disgusto, vergogna, angoscia, felicità, interesse), ed emozioni non fondamentali, che sarebbero un misto di quelle elementari.

Ad esempio: tristezza + paura = risentimento
paura + sorpresa = allarme
gioia + accettazione = amore
(non sono bravo in questo tipo di cose…)

La fusione di emozioni fondamentali in emozioni di ordine superiore è solitamente ritenuta una funzione cognitiva, e quindi esse tendono ad essere esclusivamente umane.
Le espressioni facciali di determinate emozioni si assomigliano in persone diverse perché ognuna di esse contrae e rilassa i muscoli facciali più o meno nello stesso modo quando viene esposta ad uno stimolo che evoca un’emozione tipica. Lo stesso avviene in specie diverse.
Le espressioni facciali universali possono tuttavia essere regolate dall’apprendimento e dalla cultura, cioè cancellate, attutite o amplificate e perfino mascherate da altre emozioni.
Tutto ciò che concerne convenzioni, norme e abitudini che le persone sviluppano per gestire le espressioni delle emozioni, va sotto il nome di “regole dell’esibizione”.
Queste regole specificano chi può mostrare quale emozione a chi, quando e in che misura.

La differenza fondamentale tra cognizione ed emozione sta nel fatto che nel caso delle emozioni il cervello non funziona indipendentemente dal corpo.
Infatti la maggior parte delle nostre emozioni implica delle risposte fisiche (ed è proprio quì che volevo arrivare dall’inizio dell’articolo).
Sono quindi le risposte fisiche a rendere le emozioni diverse dagli altri stati mentali, non emotivi.
E’ difficile immaginare rabbia, paura, eccitazione in assenza della loro espressione fisica. sarebbe come immaginare il sesso senza l’erezione…
Anzi ogni emozione ha una sua qualità inconfondibile: provare paura è diverso da provare rabbia o amore, infatti quando sei spaventato, non hai erezioni (o sei una donna).

Chiamiamo sentimento l’esperienza cosciente di una emozione, o il suo aspetto mentale.
La capacità di provare sentimenti è direttamente legata alla capacità di avere una coscienza di sé e della relazione tra il sé e il resto del mondo.
Quindi i sentimenti si producono unicamente quando un sistema di sopravvivenza è presente in un cervello che ha anche la capacità di essere cosciente.
credo che le cose siano così strettamente legate dal poter dire che una qualunque forma di vita sintetica cosciente di se stessa, svilupperà emozioni in maniera molto simile a quello che hanno fatto gli umani o gli animali, in base alla potenza del suo Hardware.
Le emozioni sono difficili da verbalizzare: operano in uno spazio psichico e neurale dove la coscienza fatica ad accedere proprio per il fatto che le emozioni non sono gestite dalla neocorteccia, sede della coscienza.
certe funzioni dell’elaborazione emotiva sono rimaste tali e quali nel cervello umano rispetto a quello animale e possiamo quindi usare gli studi sugli animali per scoprire come funzionano le nostre, anche se ciò non servirà a conoscere proprio tutto delle nostre emozioni… insomma… davvero non si può infilare una marea di elettrodi in qualche cranio umano? insomma, parliamone…

Tra i massimi obiettivi delle neuroscienze c’è quello di riuscire a localizzare il più precisamente possibile le varie funzioni del cervello: sapere dove si trovano è il primo passo per capire come operano.
Ogni funzione mentale richiede la cooperazione di molte aree, o meglio ogni funzione richiede l’intervento di un insieme unico di aree collegate, un sistema proprio.
Se un sistema ci permette di vedere, non ci permette anche di udire, di camminare o di sentire dolore.
la difficoltà nella localizzazione giace nel fatto che ogni funzione è mediata da sistemi interconnessi, da regioni cerebrali che lavorano di concerto, non da aree singole che lavorano da sole.
Il “cervello emotivo” è un esempio di ciò e solo tenendo presente questo presupposto possiamo capirne i meccanismi.
Alcuni studiosi hanno affrontato il problema del rapporto tra memoria ed emozione.
Gran parte di questi studi hanno riguardato lo studio di una specifica emozione: la paura.
Per “memoria emotiva” si intende la memoria basata sull’emozione creata da una paura.
Gran parte delle attuali conoscenze su come il cervello colleghi memoria ed emozione, è stata ricavata dagli studi sul cosiddetto “condizionamento classico alla paura”.
In questi studi sono stati utilizzati ratti e primati.
Ad esempio un ratto viene fatto soggiornare in una scatola di legno con il pavimento formato da una rete metallica. Il condizionamento viene effettuato facendo udire uno stimolo sonoro accoppiato ad una debole scarica elettrica alle gambe del ratto attraverso la rete metallica.
Il ratto associa rapidamente la situazione di pericolo al suono e manifesta una reazione che è una risposta condizionata, consistente in alterazioni comportamentali e fisiologiche: l’animale si immobilizza, sobbalza facilmente, aumentano la sua pressione sanguigna e la sua frequenza cardiaca.
La reazione di paura, una volta stabilita, diventa uno stato relativamente permanente (la memoria emotiva appunto).
Se poi il ratto viene sottoposto a ripetute stimolazioni sonore non accompagnate da scarica elettrica, la sua reazione di paura diminuisce e questo cambiamento viene definito con il termine di “estinzione”. Ma l’estinzione è solo una estinzione apparente della reazione di paura.
Infatti essa è dovuta ad un controllo della reazione di paura esercitata dal cervello e non all’eliminazione della memoria emotiva.
Questi termini e questi concetti sono indispensabili per comprendere come funzionano certi meccanismi di cui si parlerà più avanti.

AMIGDALA E IPPOCAMPO

Abbiamo visto che l’ipotalamo può essere considerato l’interfaccia tra la neocorteccia, psicologicamente sofisticata e le aree inferiori, più primitive.
I sistemi sensoriali che raccolgono dal mondo esterno le informazioni, le mandano a regioni specializzate della corteccia cerebrale (ad esempio dagli occhi alla corteccia visiva, dalle orecchie alla corteccia uditiva). Ma nel viaggiare verso queste aree i messaggi sensoriali sostano nelle aree subcorticali e fanno delle tappe nel talamo.
Come le aree corticali corrispondenti, quelle talamiche sono anch’esse specializzate per l’elaborazione sensoriale: il talamo visivo riceve segnali visivi dai recettori degli occhi e li trasmette alla corteccia visiva, mentre il talamo uditivo riceve segnali acustici dai recettori delle orecchie e li trasmette alla corteccia uditiva.
Quindi i messaggi sensoriali sono trasmessi dai recettori esterni ( occhi, orecchie, pelle) alle aree specializzate del talamo che fanno una prima elaborazione dei segnali e inviano i risultati alle aree specializzate del cervello.
I corpi mammillari dell’ipotalamo sono il luogo che riceve i segnali sensoriali talamici in entrata e poi inoltra i messaggi verso la corteccia.
L’AMIGDALA è la parte del sistema limbico specializzata nelle questioni emozionali: se viene asportata il risultato è una evidentissima incapacità di valutare il significato emozionale degli eventi.
Essa funziona come un archivio della memoria emozionale ed è quindi depositaria del significato stesso degli eventi.
La vita senza amigdala è un’esistenza spogliata di significato personale.
Tutte le passioni dipendono dall’amigdala.
I segnali in entrata provenienti dagli organi di senso consentono all’amigdala di analizzare ogni esperienza, facendone una sorta di “sentinella psicologica” che scandaglia ogni emozione e ogni percezione guidata da domande che hanno radici nella notte dei tempi: “ E’ qualcosa che temo, qualcosa che odio, qualcosa che mi ferisce?”
Se la risposta è affermativa, l’amigdala reagisce immediatamente inviando un messaggio di allerta a tutte le parti del cervello.
Stimola così la secrezione degli ormoni che innescano la reazione di combattimento o fuga, mobilita i centri del movimento e attiva il sistema vascolare, i muscoli e l’intestino.
tutto questo, prima che alla neocorteccia arrivino i segnali che la avvertono di cosa stia succendendo.
I sistemi mnemonici corticali vengono riorganizzati con precedenza assoluta per richiamare ogni informazione utile nella situazione di emergenza contingente.
L’estesa rete di connessioni neurali dell’amigdala, le consente, durante un’emergenza emozionale, di “SEQUESTRARE” gran parte del resto del cervello, compresa la mente razionale e di imporle i propri comandi.
e questo non è uno scherzo. se l’amigdala vuole, prende il sopravento, e se questo puo andare bene in situazioni dove la fuga può significare sopravvivenza, va meno bene in situazioni più tecniche (come il combattimento) e va ancora meno bene in condizioni legate con gli approcci sessuali.
se cercassi di fare sesso con la metà delle persone suggeritemi dall’amigdala da quando ho 16 anni, probabilmente avrei decine e decine di figli da decine e decine di donne che personalmente trovo ributtanti dal punto di vosta della complessità e ricchezza psicologica o emozionale.
motivo in più per considerare che forse è meglio che certi aspetti della vita vadano controllati più seriamente e aprocciati con regioni cerebrali maggiormente evolute.

Esiste un collegamento diretto anche tra il talamo e l’amigdala, che fa in modo che uno stimolo condizionato di paura possa suscitare delle risposte di paura senza l’intervento della corteccia.
In particolare il NUCLEO CENTRALE dell’amigdala ha delle connessioni con le aree del midollo allungato implicate nel controllo della frequenza cardiaca e di altre risposte del sistema nervoso autonomo.
Le lesioni a questo nucleo centrale bloccano l’espressione di tutte le risposte neurovegetative, mentre la lesione dei singoli percorsi neurali in uscita bloccano soltanto le singole risposte.
Compreso il nucleo centrale, l’amigdala è formata da una dozzina di sottoregioni non tutte coinvolte nel condizionamento alla paura.
Possono quindi interferire con quest’ultimo soltanto le lesioni che danneggiano le regioni dell’amigdala che fanno parte del circuito del condizionamento alla paura.
A questo proposito il NUCLEO LATERALE e il NUCLEO CENTRALE hanno senza dubbio un ruolo essenziale, mentre il ruolo delle altre regioni è ancora allo studio.
(Si ipotizza che la zona mediale dell’amigdala sia responsabile delle sensazioni spiacevoli, mentre la zona laterale sarebbe più coinvolta nelle sensazioni piacevoli).

L’APPRENDIMENTO EMOTIVO ( per il collegamento diretto talamo-amigdala) può quindi avvenire senza coinvolgere i sistemi di elaborazione superiori del cervello.
Ma esistono anche i collegamenti tra il talamo e la corteccia.
Che differenza c’è tra i collegamenti talamo-amigdala e talamo-corteccia?
I neuroni dell’area del talamo che inviano per esempio delle proiezioni nella corteccia uditiva primaria, hanno una sintonia molto fine: non reagiscono a qualunque stimolo, ma solo a certi. Invece le cellule delle aree talamiche che inviano delle proiezioni all’amigdala, reagiscono a una gamma molto più vasta di stimoli e forniscono all’amigdala solo una rappresentazione rozza dello stimolo stesso.
Il percorso diretto talamo-amigdala è un percorso di elaborazione veloce, ma impreciso, che consente però di rispondere a stimoli potenzialmente pericolosi, prima di sapere esattamente che cosa siano.

Possiamo quindi osservare che nella percezione degli stimoli esistono due strade:
una “ STRADA ALTA” e una “ STRADA BASSA”.
La strada bassa è quella tramite la quale l’informazione sugli stimoli esterni (occhi, tatto odito…) raggiunge l’amigdala
da percorsi diretti provenienti dal talamo, e la strada alta è formata da percorsi che vanno dal talamo alla corteccia e dalla corteccia all’amigdala.
La strada bassa diretta e molto utile nelle situazioni pericolose.
E’ probabile che questo percorso diretto sia responsabile delle risposte emotive che non capiamo (e ovviamente non le capiamo proprio per il fatto che la neocorteccia non viene interessata).
Cioè l’amigdala può reagire con un delirio di collera o di paura, prima che la corteccia sappia che cosa stia accadendo e questo proprio perché l’emozione grezza viene scatenata in modo indipendente dal pensiero razionale e prima di esso.
La strada bassa potrebbe anche essere il modo di funzionamento dominante negli individui che soffrono di certe turbe emotive, mentre in ognuno di noi questa modalità si produce solo occasionalmente.
Il percorso diretto talamo-amigdala ha un vantaggio importante: nel ratto occorrono circa 12 millesimi di secondo perché uno stimolo acustico raggiunga l’amigdala attraverso di esso, mentre impiega due volte di più attraverso il percorso corticale.
Infatti il percorso proveniente dal talamo richiede un unico collegamento, mentre ce ne vogliono parecchi per attivare l’amigdala attraverso la corteccia, e ogni collegamento in più richiede tempo:
il primo percorso, quindi, anche se non ci dice che cosa ci sta minacciando, avverte velocemente che c’è una minaccia.
Dal punto di vista della sopravvivenza è meglio reagire a delle circostanze potenzialmente pericolose come se lo fossero davvero, che non reagire affatto.
Dalla corteccia arrivano invece all’amigdala delle rappresentazioni più accurate e dettagliate.
se come si è soliti fare nella letteratura delle neuriscienze, ci limitassimo ad analizzare la milgiorata reazione al pericolo, l’amigdala sarebbe perfetta. quello che spesso si ignora è però la sua massiva intrusione in molti altri aspetti emotivi della vita, come quelli legati alla riproduzione o al rapporto di coppia, memoria spaziale e ricordare i contesti (i contesti ambientali ricordano all’amigdala cosa è successo nello stesso contesto, quando ci si passa in un tempo diverso, e lei reagisce in maniera “storica”, ad esempio ci farà sentire nostalgici quando passiamo vicino alla nostra vecchia scuola o roba simile)
L’amigdala, non appena capta una situazione emotiva negativa, di pericolo, “accende” una serie di sistemi fisici compreso il sistema nervoso autonomo. Questo, a sua volta, stimola da parte delle ghiandole surrenali il rilascio dell’adrenalina nel sangue.
L’adrenalina influenza a sua volta il cervello, ma per via indiretta, in quanto è una molecola troppo grande per passare la barriera emato-encefalica ed arrivare direttamente nel cervello.
Ancora non conosciamo bene il meccanismo con il quale influenza il funzionamento del sistema di memoria del lobo temporale, influenzando così i ricordi che esso crea.
Gli effetti sistemici dell’adrenalina comprendono la diminuzione della circolazione sanguigna nel tratto digerente, l’aumento dell’irrorazione dei muscoli scheletrici, per preparare ogni cellula muscolare a produrre più energia e la diminuzione del rifornimento di sangue alla parte anteriore della corteccia cerebrale (proprio l’area che contiene il nostro intelletto, la nostra capacità di pensiero cosciente, l’area destinata a dirigere la soluzione dei nostri problemi complessi).
Vengono quindi “chiuse” aree, per così dire, non essenziali del cervello.
Più siamo stressati, più queste aree vengono chiuse. Questo permette ai centri più antichi e più primitivi del cervello di prendere il controllo.
In questo modo le decisioni vengono prese inconsciamente, basandosi sull’istinto, in quanto la sopravvivenza fisica nelle situazioni di forte stress, diventa l’obiettivo primario.

Le funzioni di apprendimento e memoria dell’amigdala sono tarate in modo da evitare di farci riflettere sul da farsi.

La corteccia prefrontale soffoca o comunque controlla l’emozione in modo da gestire più efficacemente la situazione.
Essa consente quindi di dare ai nostri impulsi emotivi una risposta più analitica ed appropriata, modulando l’amigdala e le altre aree libiche.
Come nel caso della resezione dell’amigdala, anche in assenza dell’elaborazione dei lobi prefrontali, gran parte della vita emotiva viene meno.
Invece i cosiddetti SEQUESTRI NEURALI che avvengono nelle situazioni di pericolo e di emergenza comportano presumibilmente due dinamiche: da un lato lo scatenamento dell’amigdala, dall’altra la mancata attivazione dei processi neocorticali che solitamente mantengono l’equilibrio delle risposte emozionali.
In questi momenti la mente razionale viene sopraffatta da quella emozionale.
Fra i modi con i quali la corteccia prefrontale riesce a dominare efficacemente le emozioni (soppesando le reazioni prima di passare all’azione), c’è quella di smorzare i segnali di attivazione inviati dall’amigdala e da altri centri limbici.
Un meccanismo che possiamo paragonare a un genitore che fermi il proprio bambino impulsivo impedendogli di afferrare ciò che vuole e insegnandogli a chiedere educatamente o ad aspettare.
Sembra che l’interruttore fondamentale che “spegne” le emozioni negative sia il lobo prefrontale sinistro.
Il lobo prefrontale destro è sede di sentimenti negativi come la paura e l’aggressività, mentre quello sinistro tiene sotto controllo tali emozioni grossolane, probabilmente inibendo il lobo destro.
Il lobo prefrontale sinistro sembra far parte di un circuito neurale in grado di disattivare o almeno di smorzare, tutti gli impulsi emotivi negativi, con la sola eccezione dei più violenti.

I sentimenti sono indispensabili nei processi di decisione della mente razionale : essi ci orientano nella giusta direzione.
Gli insegnamenti emozionali impartitici dalla vita inviano segnali che restringono il campo della decisione, eliminando alcune opzioni e mettendone in evidenza altre fin dall’inizio.
In questo modo il cervello emozionale è coinvolto nel ragionamento, proprio come il cervello pensante.

Nelle persone con lesioni del circuito che collega i lobi prefrontali all’amigdala, la capacità di prendere decisioni è spaventosamente compromessa e tuttavia essi non presentano alcun deterioramento del loro quoziente di intelligenza o di qualunque abilità cognitiva.
Ma nonostante la loro intelligenza sia intatta, essi compiono scelte disastrose negli affari e nella vita privata. Possono poi non essere in grado di prendere una decisione semplicissima come quella di fissare un appuntamento.
Le scelte di queste persone sono così problematiche perché essi hanno perso la possibilità di accedere alla propria memoria emozionale.
Il circuito che collega lobi prefrontali e amigdala è una via di accesso fondamentale all’archivio contenente tutte quelle preferenze e quelle avversioni che andiamo accumulando nel corso della vita.
Uno stimolo esterno non suscita in queste persone attrazione o avversione: essi hanno “dimenticato”
tutti gli insegnamenti emozionali precedentemente appresi, perché non hanno più accesso all’amigdala, il luogo dove li hanno archiviati.
Tutto assume i toni di una grigia neutralità.
Attualmente nel nostro cervello le connessioni che vanno dalle aree corticali all’amigdala sono molto più deboli di quelle che fanno il percorso inverso.
Questo fatto spiegherebbe come mai l’informazione emotiva sconfini facilmente e influenzi il pensiero cosciente, e quest’ultimo invece fatichi a controllare le emozioni.
L’AMIGDALA INVIA DELLE PROIEZIONI VERSO MOLTE AREE CEREBRALI. QUESTE PROIEZIONI SONO PIÙ NUMEROSE DI QUELLE CHE FANNO IL PERCORSO INVERSO.
L’amigdala, infatti, riceve dei segnali solo dall’ultima tappa dell’elaborazione corticale all’interno dei sistemi sensoriali, ma invia invece sue proiezioni ad ognuna di queste tappe, fin dalla prima.
Poi ha connessioni con la memoria a lungo termine (ippocampo e aree corticali che interagiscono con l’ippocampo per immagazzinare in maniera durevole le informazioni).
Ha solo deboli connessioni con la corteccia prefrontale laterale, ma ne ha di più consistenti con la corteccia anteriore cingolata e con la corteccia orbitale, facenti parte tutte e tre, del circuito della memoria di lavoro.

Per completare il quadro dei meccanismi che interagiscono nel nostro “cervello emotivo”, bisognerebbe fare un breve accenno ai sistemi di neurotrasmettitori che, in tutti i mammiferi, regolano lo stato emozionale, ovvero quelli della noradrenalina, della serotonina e della dopamina.

probabilmente la parte seguente sarà un po noiosa a meno che non siate narcotrafficanti dell’amore.

La NORADRENALINA (link)

regola le risposte comportamentali (capacità di pensiero, tono dell’umore) ed umorali (secrezione di ormoni) verso stimoli ambientali potenzialmente pericolosi.

Interessa la corteccia cerebrale, l’amigdala, l’ippocampo, il cervelletto, il talamo, l’ipotalamo, i nuclei nel bulbo e nella parte ventro-laterale del ponte.
La disfunzione dei meccanismi di regolazione dell’attività noradrenergica, potrebbe essere alla base dell’insorgenza di alcuni sintomi di depressione.

La SEROTONINA (link)

regola il tono dell’umore, alcune funzioni cognitive, il comportamento motorio, alimentare e alcune funzioni neuroendocrine.
Interessa alcuni nuclei a vari livelli del tronco encefalico, l’area mediale del ponte e del mesencefalo che inviano fibre alla corteccia cerebrale, all’ippocampo, all’ipotalamo, al bulbo olfattivo e alla maggior parte della corteccia prefrontale.
A livello dell’ipotalamo esercita una funzione stimolatoria sul rilascio di prolattina, ormone della crescita e ormone adrenocorticotropo.
La disfunzione dell’attività serotononinergica potrebbe essere responsabile dell’insonnia, delle alterazioni neuroendocrine e dell’ansia nelle persone depresse.

La DOPAMINA (link)

è responsabile del controllo dei comportamenti motivati e della modulazione degli stati affettivi.
Interessa i neuroni del mesencefalo e del diencefalo che mandano proiezioni alla corteccia prefrontale mediale, al giro del cingolo e dell’area entorinale, all’ipotalamo e all’ipofisi.
Una diminuzione della funzionalità dei sistemi dopaminergici attutisce o abolisce completamente la capacità di apprezzare gli eventi gratificanti e le esperienze piacevoli, mentre livelli abnormi di dopamina sono associati alla sintomatologia della schizofrenia.

CONSAPEVOLEZZA DELLE EMOZIONI
Ritorniamo al mondo delle emozioni per puntualizzarne altri aspetti.
Abbiamo visto che esistono due livelli di emozione: quello conscio e quello inconscio.
Da un punto di vista fisiologico un’emozione sorge prima che l’individuo ne sia conscio.
Nel momento in cui un’emozione si fa strada nella consapevolezza, vuol dire che è stata registrata come tale nella corteccia prefrontale.
La struttura delle connessioni cerebrali comporta che non possiamo assolutamente controllare in quale momento verremo travolti dalle emozioni, né quale emozione ci travolgerà. possiamo però scegliere cosa pensare, anche se con tutta probabilità lo faremo in ritardo.

Le persone molto sicure dei propri sentimenti, riescono a gestire molto meglio la propria vita.
Esse infatti hanno una percezione più sicura di ciò che realmente provano riguardo a decisioni personali che possono spaziare dalla scelta del proprio partner alle attività professionale da intraprendere.
La capacità di monitorare istante per istante i sentimenti è fondamentale per la comprensione psicologica di sé stessi, mentre l’incapacità di farlo ci lascia alla loro mercè.
La cosa interessante e’ che le eventuali carenze nelle capacità emozionali possono essere corrette (qualcuno suggerisce il libro di Daniel Goleman “Intelligenza emotiva” mentre per fare il contrario, ovvero per killare la propria emotività non ho ancora trovato letteratura realmente utile se non studiare 7 anni ingegneria e farsi scaricare ripetutamente dalla propria ragazza che cerca di non dirti che in realtà si è innamorato di quello sozzone perditempo bestemmiatore che picchia i bambini e che vive in un frigo fuori casa nei sobborghi di NY, che però è un artista).
L’autoconsapevolezza richiede l’attivazione della neocorteccia e di aree particolari di essa, come quella del linguaggio, che consentono di dare un nome alle emozioni che si sono risvegliate.

In termini di meccanismi neurali questo sottile spostamento dell’attività mentale segnala che i circuiti neocorticali stanno monitorando attivamente l’emozione, compiendo così un primo passo nell’acquisizione di un controllo su di essa.
Questa consapevolezza è la competenza emozionale fondamentale su cui si basa poi l’autocontrollo.
è impossibile trovare persone che abbiano un vero dominio sulle proprie emozioni (a meno che non gli sia stata asportata parte dell’amigdala).
Senza dubbio ci sono persone che si “dominano”, ma non è questo il vero dominio.
Questa è repressione delle proprie emozioni, è comportarsi secondo un modello esteriore che imponiamo a noi stessi con la forza di volontà perché non siamo in collegamento con la voce che scaturisce dalla nostra interiorità.
Avere dominio su sé stessi è diverso: è qualcosa che viene da dentro, è l’espressione di quello che noi siamo in modo consapevole.
Dominio deriva infatti da “dominus” (padrone, signore) e nessuno può veramente essere padrone di sé stesso some Sauron è Signore degli anelli. Sorry.

forse l’obiettivo deve essere quello di fare in modo che le emozioni siano appropriate, cioè proporzionate alle circostanze; e capire che tanti stati emozionali che viviamo, sono strettamente connessi con le memorie e le reattività del sistema limbico e che lasciarlo fare, significa molto spesso sovradimensionare.

Coscienza e organismi

a chi può importare la felicità di un individuo se non all’individuo stesso.

la felicità è molto individuale perché è legata alla coscienza.

al pianeta Terra tutto questo non interessa; fondamentalmente perché non è cosciente di sé,e nel caso lo fosse, sarebbe cosciente delle persone quanto noi lo siamo dei nostri globuli rossi.

ma come avviene il procedimento di autocoscienza?

quando si puo dire che un entità è cosciente di sé stessa? quello dell’autocoscienza è un processo che studio da anni ma i suoi meccanismi mi sono ancora nascosti.

succede che ad un tratto, i singoli neuroni che non sono coscienti di se stessi, formano dei legami e si scambiano informazioni sotto forma di segnali elettrochimici e queste informazioni creano un brusio, una sorta di rumore di fondo il quale è cosciente di se stesso pur non essendo cosciente dei singoli neuroni che lo formano.

l’individuo non è il suo cervello che è solo una piattaforma. l’individuo è la rete neurale.

un po come se il Sole non fosse quell’enorme tangibile densa e calda palla di idrogeno ed elio, ma fosse il suo caratteristico suono a “gong” emesso nello spettro delle onde radio, mentre tutto il resto della materia incandesciente è solo un envirorment per crearlo. o come se il Sole non fosse il Sole, ma solo la sua radiazione.

non succede lo stesso per la civiltà umana.

se gli umani sono i neuroni della società, la società non è un rumore di fondo e non è cosciente di se stessa.

perché è questo ciò che succede normalmente in natura: tanti piccoli organismi senzienti generano un grande strumento “morto” che non sa di essere.

come l’alveare d’api o il formicaio

analizziamo ora una catena di strutture:

i quark incoscienti formano il protone e il neutrone incoscienti (l’elettrone sembra sia una struttura elementare).

l’atomo di idrogeno non è cosciente,

si lega all’ossigeno che non è cosciente e forma l’acqua che non è cosciente.

l’acqua è un componente fondamentale della cellula che potrebbe essere cosciente.

le cellule si organizzano in strutture complesse e interagenti, che formano poi un corpo o una parte del corpo come un braccio.

il braccio, come il corpo o il cervello, non è cosciente.

quello ad avere coscienza è solo la rete neurale, che è cosciente di sé e solo ed esclusivamente delle strutture organiche semplici ad essa direttamente collegate e innervate (non ad esempio, dei globuli rossi o dei linfociti).

le reti neurali interagiscono tra di loro e formano la società umana (che è incosciente)

la socità poi potrebbe espandersi e creare delle struttire sempre più complesse

e queste strutture potrebbero diventare palazzi, navi Concordia o pianeti

che formerebbero “sistemi solari”

che formano galassie che formano universi

dei quali noi non possiamo conoscere la coscienza poiché siamo troppo piccoli per condurre dei test su di essi.

se escludessimo la cellula, la coscienza giacerebbe su un unico strato

un unico anello centrale di ogni lunghissima cantena è l’unico ad aver sviluppato questa anomalia dell’autocoscienza, perché “anomalia” parrebbe il  termine che identificherebbe questo evento bizzarro.

ma se il prolma fosse la percezione?

se ogni coscienza facesse fatica a spostarsi di layer per interagire con le altre coscienze?

non parrebbe impossibile.

a prima vista un qualunque cane sembra lungamente più intelligente di un qualunque delfino, poiché col delfino si fa molta più fatica a comunicare. semplicemente perché vi è un incopatibilità di protocollo di comunicazione e analisi, anche se uomo, delfino e cane, si trovano tutti allo stesso anello delle rispettive catene.

come può quindi la rete neurale umana comunicare con la “rete neurale” della cellula o con la radiazione di fondo dell’universo?

si potrebbe obiettare dicendo che le nebulose o i sistemi solari non sono oggetti “singoli” e compatti come noi umani, ma solo realtà formate da corpi che condividono una stessa regione di spazio; ma d’altro canto credo che nemmeno i nostri corpi, analizzadi dal punto di vista dei neutrini, siano sistemi singoli e compatti, ma tutt’al più un insiemi di fibre, tessuti e atomi che condividono uno spazio comune…

roba da perderci la testa.

in queste equazioni c’è qualcosa che continua a sfuggirmi

e in effetti, saltare di livello tra ambienti di ordine di grandezza differenti, presenta le sue difficoltà considerando che a volte è difficile comunicare anche con le reti neurali femminili… figuriamoci con le galassie o le nebulose.

e comunque, per comprendere direttamente cosa voglia dire “spostarsi di un layer” verso sistemi dimensionalmente più grandi o più piccoli, date un occhio a questo programmino in flash.

impiega tanto a caricare, ma ne vale la pena

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Rilevazioni, teorie, lancio del giavellotto e presa della Bastiglia

questo è un articolo modestamente lungo e moderatamente nerd, quindi se non siete dell’umore, vi prego di evaderlo

[firmato La Redazione].

correggetemi se sbaglio

grosso modo le scoperte nei campi della “scienza fisica” funzionano così:

1-qualcuno osserva un evento

2-qualcuno trova degli espedienti matematici per definirlo

3-qualcuno lo teorizza

4-qualcuno crea un ambiente di test appropriato, che chiameremo E.D.E.N (i nerd capiranno la citazione bethesdiana) nel quale testare la teoria.

sorvolando sul fatto che da alcune centinaia di anni il punto due viene prima dell’uno, l’ordine in cui procedere è sempre quello esposto.

non ha senso ad esempio teorizzare un evento che non si è osservato (direttamente o indirettamente); non avrebbe senso teorizzare che la materia oscura viene creata nei quasar (è un esempio) finché non si osserva qualcosa che ci possa far pensare che la materia oscura venga creata nelle quasar e non nell’ombelico di Platinèt. altrimenti potrei teorozzare qualunque cosa, è questo non sarebbe di aiuto a nessuno.

ora abbandoniamoci ai luoghi comuni;

qualcuno* inventa la moltiplicazione e la divisione

la mela cade dall’albero e colpisce qualcuno* in testa

qualcuno* pensa U=m*g*h —-> E=(1/2*m)*v^2

qualcuno* crea un E.D.E.N e misura l’energia delle mele modificando i parametri “m” e “h” (modificare “g” è difficilotto) e controlla se le equazioni summenzionate danno risultati giusti al variare del valore delle variabili.

logico. no?

quindi potremmo dire che oltre ai matematici che quando non hanno un cazzo da fare, si divertono a creare dei nuovi vestiti per le matematiche e per le geometrie, esistono anche due grappoli di fisici: quelli teorici (che teorizzano) e quelli osservatori (che osservano eventi e raccolgono i dati)

secondo quanto postulato, i fisici teorici svilupperebbero teorie per spiegare le osservazioni fatte dai fisici osservatori.

quello che è sempre successo è però che questi fisici trovano una teoria per spiegare le osservazioni, quella teoria funziona a dovere e poi BAM! un osservatore osserva un fenomeno che non è previsto dalla teoria che fino ad ora era piaciuta a tutti quanti (vedi caso dei neutrini FTL contro la relatività).

nel caso della mela, poteva essere il fatto che un osservatore ad un certo punto, osservava che sulla vetta dell’Everest a 8000m slm, U=m*g*h gli restituisce dei risultati leggermente diversi da quelli che la teoria prediceva (questo perché a 8km di altezza, la gravità g diminuisce leggermente)…

mumble mumble.

questo sì che è divertente. allora giù tutti lancia in resta a studiare e rifare le misurazioni in mille ambienti diversi e a ripensare ad una teoria che metta d’accordo tutti i dati osservati.

non che la vecchia teoria non fosse più vera! semplicemente non era SEMPRE vera in tutte le situazioni. restava vera fintanto che si stava sul livello del mare con una g (costante di gravità) fissa ad un certo livello.

quando le misurazioni scioccanti (quelle che disfano le teorie) erano rare, le cose potevano funzionare.

per 100 anni si disponeva di una teoria universale che spiegasse tutti i casi osservati.

ora, vuoi per l’incremento dello sviluppo tecnologico, vuoi per il differente approccio scientifico dei fisici osservatori, ci sono sempre alcuni dati che non trovano perfetto riscontro nelle teorie vigenti.

allora i teorici iniziano a modificare e “stortare” le vecchie teorie incomplete e a metterci dentro decine e decine di variabili nuove che spiegano come questo o quell’evento osservato possa essere spiegato dalla loro teoria. un po come cercare di creare la curva mediana, dati numerosi dati non perfettamente allineati dove ogni puntino è un’osservazione e la curva è la teoria che li unisce.

“ecco grosso modo come si procede: si prende un foglio molto grande, possibilmente a quadretti, si segnano qua e là dei pallini (chiamati dati) e si cerca di unirli con una linea continua (chiamata teoria), chi riesce a unire più puntini vince il Nobel”. la figura mostra un esempio.

una sorta di teoria che cerchi di fare andare tutti d’accordo, ma quando meno te lo aspetti, BAM! ti salta fuori un puntino troppo, troppo distante per cadere nella tua teoria… e allora cosa si fa?

fino ad ora si è ricominciato sempre tutto da capo, ma qualcuno recentemente si è rotto i maroni e ha “inventato” un blocco di teorie dette generalmente “delle stringhe” che spiegano ogni evento osservato da qualunque osservatore, fondamentalmente aggiungendo un sacco di parametri alle formule e ai modelli, rendendoli estremamente malleabili.

ma si sa, un parametro tira l’altro, così si aggiunsero la densità di materia oscura, l’energia del vuoto, la forza invisibile, l’intuito femminile, il numero di scarpe di Dio e molto altro ancora. Oggi i parametri con cui si può giocare sono settantasei e

sembra che i conti tornino un po’ meglio.

il problema è che queste nuovissime teorie non si limitano a spiegare gli eventi osservati.

e no bello mio.

la teoria “delle stringhe”, con tutti questi nuovi dati e parametri è così malleabile e modificabile che spiega tutto.

si possono far tornare un sacco di altre cose. per esempio funziona molto bene per le analisi del sangue, le scommesse sulle corse dei cani e i bilanci aziendali

TUTTO!! e quando dico tutto intendo tutto davvero! anche quello che non è ancora stato osservato, basta modificare i parametri di un po, ogni volta.

quindi fa rientrare dentro i suoi confini operativi le nuove osservazioni, come anche le osservazioni che non sono ancora state compiute.

può spiegare tutto, anche quello che non esiste.

e quindi, predicendo tutto, non predice niente (al meno per ora).

come faccio a sperimentare una teoria che accetta qualunque risultato? non ho il punto 4. non ho l’E.D.E.N!

non lo so… c’è molta confusione.

esprimo l’idea di abolire (o forse meglio “scremare”) i fisici teorici per 20 anni e istruire solo fisici osservatori.

quando tra 20 anni avremo una valanga di dati, riprenderemo in mano i fisici teorici e riformularemo delle teorie senza che qualcuno ci rompa immediatamente le uova nel paniere.

tutte queste teorie del cazzo campate alla cazzo che non serviranno ad un cazzo, richiedono tempo e forza lavoro che potemmo

impiegare meglio.

non te ne fai niente di 1000 contadini se hai solo 10 semini.

per quanto ne capisco (e spero di sbagliarmi) espleterò la mia ultima analisi con una semplice, lapidaria proporzione:

essendo che siamo in periodo, dirò che la teoria delle stringhe sta alla fisica come il giorno di S.Valentino sta all’amore. è un

espediente per rendere più complicata una cosa che già di per sé è un casino inverecondo.

teoristi delle stringhe, spero che un giorno mi spieghiate tutto quanto quello che non ho ancora capito.

lovv.

Note:* se nel caso, quel qualcuno è Newton, non fa testo perché è stato un Adamo che ha teorizzato, misurato, testato inventando il

calcolo differenziale insieme al mio caro compagno di banco Leibniz e credo sia stato il primo a parlare di “forza”. negli ultimi

200 anni cose così non succedono più.

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