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Archive for the ‘Storie di vita’ Category

Chi torna da un viaggio non è mai la stessa persona che è partita

E’ successo un casino: hanno abbattuto il mio albero, il mio vecchio, grande, bellissimo, inutile albero di castagne.
Era qui sotto, sul limitare del campo che era del mio nonno, quello dove, da piccolo, andavo a cercare reperti archeologici, quello dove fingevo di essere un gigante cattivo che lanciava grossi massi e distruggeva tutto (erano zolle di terra, nella fattispecie), quello dove avevo costruito un nunchaku con due pezzi di legno e un filo e poi me lo ero tirato sul naso, e dove avevo costruito mille boomerang, nessuno dei quali è mai tornato indietro.
Vent’anni fa, in quest’angoletto di campagna, la mia infanzia bucolica trascorreva inconsapevole di stagione in stagione. Ero il classico bambino in calzoncini corti, ginocchia sbucciate e cerbottana, e data la mancanza di compagni di gioco (li avevo, ma loro erano diligenti e facevano i compiti) usavo la fantasia e mi ritrovavo a fare le cose più insensate, la maggiore delle quali era cercare un’anima in quel grande albero di castagne e comportarmi come se l’avesse. Ogni giorno gli giravo intorno, mentre facevo i miei giochi da bambino asociale, e in qualche modo mi sentivo al sicuro; nelle fantastiche minchiate che mi giravano per la testa, io in qualche modo sapevo che lui mi guardava, che si accorgeva di me, con quel suo acutissimo intelletto da vegetale anziano, si accorgeva della mia urtante presenza e probabilmente pensava “accidenti, questo cucciolo di umano è veramente un disadattato. Ma una volta non c’era la selezione naturale?”. Nonostante io avessi da fare un milione di cose assurde, inutili, pericolose e poco igieniche, quando passavo di lì mi ricordavo sempre di lui, e allora lo guardavo, mi assicuravo che stesse bene, gli giravo intorno, se c’erano mangiavo un paio di castagne, poi correvo a prendere un secchiello e gli davo un po’ d’acqua.
Dato che ero un bambino intelligente (ero psicopatico, non stupido), sapevo perfettamente che quell’acqua non gli serviva a nulla, perché il mio albero era un albero grande e aveva delle radici lunghissime, almeno quanto i rami, radici che arrivavano giù in profondità dove la terra è sempre bagnata, come alcune ragazze che ho conosciuto, quindi in teoria non aveva bisogno di niente, ma non mi importava: io gli volevo bene al mio albero, andavo lì regolarmente perché volevo prendermi cura di lui, con tutto il candore e l’innocenza di questo mondo. Dio, ero proprio insopportabile (oltre che preoccupante), sembravo uscito da un cartone Disney; davanti a tutta quell’ostinata tenerezza il mio povero, paziente albero deve aver pensato “piccolo dolce infante ritardato, smettila immediatamente di innaffiare le fottute erbacce che mi crescono intorno e vai a giocare al dottore con le bambine, piuttosto.”.
Ricordo che una volta, preso da un qualche delirio ecopanteistico new age, l’ho anche abbracciato, il mio albero, perché per il bambino deviato che ero quell’albero era un amico particolare, una specie di E.T., una forma di vita diversa. Non ci avrei mai parlato, con il mio albero, non ci avrei mai giocato insieme, non ci avrei mai fatto niente del genere, era ovvio, non era proprio possibile, perchè lui era un albero inerte e inespressivo e io un bambino scemo con molta fantasia, però non mi importava.
Quell’albero era un amico, gli volevo bene.

Col tempo, poi, ha iniziato ad appassire; in fondo era inevitabile.
Intendo il mio animo da bambino scemo:

con gli anni, piano piano, è andato spegnendosi, ho smesso di fare l’idiota con il mio albero, ad un certo punto l’ho proprio dimenticato, il tempo ha cominciato a correre, finché mi sono ritrovato ormai trentenne. una mattina mi sono alzato, sono andato al giardino del mio nonno immerso in mille pensieri e impegni vari, mi sono affacciato alla finestra e ho visto in mezzo al campo un grosso spiazzo senza erba, un po’ di terra smossa e delle radici strappate. I miei nonni mi hanno spiegato che col tempo era avvizzito, ogni anno si ritrovava con meno foglie e meno castagne; negli ultimi tempi alcuni rami erano caduti giù da soli, ormai era proprio da abbattere. Sono rimasto lì a guardare il vuoto, amareggiato: in fondo lo sapevo, avevo notato che si stava seccando, ma non mi ero mai soffermato a pensarci.
E insomma, quella poteva anche essere una giornata triste, perché il bambino scemo che è in me, davanti a quello spettacolo di morte e inesorabilità, aveva avuto un sussulto, era rispuntato fuori dall’angoletto in cui lo avevo confinato e aveva iniziato a piangere, a battere i pugni, cercava di farmi capire che quella era una tragedia, che non dovevo ributtarmi negli affari e nella roba come se niente fosse, non questa volta, no, dovevo fare qualcosa, e io allora ho fatto qualcosa, ho preso in braccio il mio bambino scemo e gli ho ricordato i vecchi tempi, quando c’era solo lui e il mondo era un grosso parco giochi dove poter fare cose inutili e ridere dalla mattina alla sera. In particolare, gli ho raccontato di quando un giorno, mentre si rotolava nel fango lì vicino, aveva visto un piccolissimo albero di castagne, che era germogliato spontaneamente da una noce caduta in terra. L’aveva visto, aveva capito cos’era, aveva sorriso al grande albero, e poi come un vero bambino scemo l’aveva estratto con molta cura, con tutta la sua zolletta di terra, e lo aveva messo al sicuro in un vecchio vaso di terracotta rubato alla nonna, perché li in mezzo al campo da coltivare poteva succedergli di tutto. Ogni giorno, poi, lo aveva innaffiato, gli aveva tolto le erbacce, lo aveva visto crescere, finchè un giorno il babbo, da buon signore delle selve, lo aveva preso e lo aveva piantato da un’altra parte, in un bel posto, una delle sue montagne piene di alberi.
Il mio bambino scemo allora si è ricordato tutto e ha smesso di piangere, poi mi ha chiesto se un giorno lo andremo a trovare, il nostro albero.
Ma certo che ci andremo, gli ho detto io.
Promettilo, ha insistito.
Ma si, te lo prometto, tranquillo, gli ho detto, un po’ spazientito.
E lo abbracceremo di nuovo, mi ha chiesto lui.
Bè, adesso stai esagerando, gli ho risposto con il tono severo.
E dai, e dai, promettimelo, promettimelo!
Va bene, si, promesso, promesso, gli ho detto. Lo abbracceremo di nuovo, il vegetale, però adesso basta, non farmi fare più figuracce, che siamo su internet, la gente ci guarda. Torna a fare i tuoi giochi scemi, su, da bravo. E comportati bene, che diamine: smettila di essere così felice! che cazzo sei felice a fare PORCODIO!

Categorie:Storie di vita

Ragazze italiane in Erasmus

In università ho studiato come si propagano incendi e esplosioni, materiali infiammabili, inertizzazioni, tutto quello che brucia e come spegnerlo.
Non so se avete mai provato a spegnere un gatto, non è semplice, corrono come dei piccoli figli di puttana quelle bestiole lì.
A parte, Scilla, la gatta terrona della mia vicina di casa spagnola; lei rotola.
Uno degli errori più madornali che si possono compiere nella vita di coppia è chiamare la propria morosa usando il nome del gatto, in intimità.

Nessuno vede di buon occhio chi si scopa gli animali, per questo Casaleggio sta sul culo al mondo e non è che tutti voi siate poi così simpatici.
Soprattutto voi, ragazzine italiane in erasmus all’estero (e in questo preciso caso, in Spagna), nei vostri 20-22 anni, che vi credete donne fatte, donne di mondo che sanno già tutto, ma non avete ancora idea di come si apra un mutuo, di cosa siano i valori della vita o di come si trovi un lavoro e che vi cercate una casetta per l’erasmus accompagnate da mamma e papino che sganciano i quattrini del vostro fumo o del vostro alcool. Siete le creature più ritardate che abbia mai incontrato.
Mi fate schifo.
Imparate a crescere prima di raccontarvi quanto siete “donne” e fighe, perché con me non attacca.
E nel frattempo, tornate dall’inferno allattato dalla televisione e dalla musica pop che vi ha partorito e possibilmente, restateci.

Farete un favore a tutto il mondo.

Resoconto? bene, di tutte le nazionalità di gente che ho conosciuto, gli italiani, ancora una volta, si fanno riconoscere per essere i più inutili, vacui, contenitori per organi caldi… sarà un perfetto colpo di fulmine per quel ragazzone brasiliano dalla pelle d’avorio o per quel tedesco con la faccia sbarbata da Justen Bieber ma è inutile che continui a puntarmi, offrendomi da bere o vestendoti provocante, finché dentro di te ci trovo solo spazzatura e dozzinalità. Personalmente mi accompagno con risme differenti; magari risme con scritto qualcosa e non fogli bianchi o imbrattati di inutilità… senza offesa.

e così, nulla di meglio che questo, può sintetizzare il sano disprezzo che provo per voi .

in verità vi dico, un discorso simile si può fare per i ragazzi, ma per quello, mi mancano dati.

 

IndirizzoDelBlog!: l’unico blog che ce l’ha su con tutte le persone munite di un QI alto, solo se verificato sui libri di testo 🙂

Merda e storie di vita

Osannare verità:
Chi succhia cazzi sporchi della propria stessa merda ma poi ti rompe i coglioni se non ti lavi le mani prima di mangiare non è una persona di cui ci si può fidare.
Chiuso.
Quindi bisogna sempre stare attenti agli amici che ci si fa o ai partner che si frequenta. c’è spesso grande discrepanza entro quello che professano e le loro luride, nascoste abitudini o morbosità.
Quanto più una persona pare perfetta, tanto più nasconde del marcio.
E’ per quello che mi piacciono le persone squilibrate, perché non fanno sforzi per nascondere ciò che sono in realtà.

All’istituto psichiatrico erano tutti matti a modo loro, ma la cosa era chiara al personale infermieristico quanto ai medici. Gli unici che non si accorgono di niente, sono proprio i matti.

Categorie:Storie di vita

Sesso in Spagna

considerazioni di pura statistica:

il probema dei rapporti interpersonali uomo-donna in Lombardia è che se fai sesso ti spettini e Milano, capitale del look, ha reso tutti metrosessuali.
meglio avere ragazze pelate o coi capelli a spazzola come Guile di street fighter.

Ma andiamo dritti al punto: anno 2014, febbraio. cosa succede se su google si digitano le seguenti parole
“sexo ciudad espana”? ecco che un mio amico, pochi giorni fa, mi pone questa dommanda.
i risultati?
bene, dopo attente ricerche, i numeri parlano chiaro e vengono da una app che registra il numero di scopate postate su internet degli utenti, worldwide.
si evince che Salamanca batte, ad esempio, la tanto decantata Barcellona di (quasi) due volte.
Barcellona conta 1,6 milioni di abitanti e tutti assieme scopano la metà dei 155 mila salamantini.
come dire che il mediocre salamantino, probabilmente brutto, probabilmente noioso, scopa venti volte di più del mediocre barcellonese e con tutti gli errori derivanti dalla raccolta dati del programma ijustmadelove (ad esempio che il programma è usato per lo più dai giovani e a Salamanca ci sono proporzionalmente più giovani che in qualunque altra città), 20 volte è davvero tanto.

quindi, com’è possibie concentrare tanto amore in un buco di città dagli inverni rigidi, senza spiagge e senza bikini, tranne in un bar dove le ragazze shirtless si beccano una coppa di alcol gratis?!? no davvero, la spiegazione di questo fenomeno sociale è di una semplicità imbarazzante.
non servono clima mite, spiaggia, buon cibo, buoni prezzi, economia ridente… tutte stronzate. servono solo studenti stranieri o alloctoni.
la verità è che le studentesse straniere si sentono molto libere di fare quello che vogliono (e nessuno si lamenta, badate bene che in un mondo di proibizionismo e femminismo, essere relativamente libertini è un buon inizio e se magari si riesce anche ad essere intelligenti, si fa jeckpot) e per stare al passo, le spagnole di tutte le risme, devono darsi da fare; non vale fare la preziosa, perché se un ragazzo ti desidera, adesso, e tu sei indecisa, ci saranno sempre, contemporaneamente altre ‘n’ ragazze che te lo vorrebbero strappare di dosso, per vedere com’è nudo e non importa se tu sei la più bella, la più affascinante e sensuale di tutta la città. lasciami spiegare bimba mia, che o prendi quel che vuoi, o se lo prende qualcun’altro… che è anche la regola dei migliori buffét

i risultati sono quindi due:
1) ritrovarsi in una ridente città dove della gente si bacia teneramente a fianco dei cassonetti della spazzatura o di bellissimi edifici storici da sindrome di Stendhal
2) sapere che se un ragazzo/a ha deciso di stare con te o aspettare che ti decidi, è perché disposto a volerti davvero bene (o perché è davvero disperato)

ho sempre pensato alla lealtà e al “commitment” come ad un valore estintosi in natura, esattamente come si è estinto l’Axolotl nelle baie del Messico e in effetti più passa il tempo e più me ne convinco. sì, perché il risultato 2 ha una validità praticamente nulla a volte. quindi se sei brutto e inetto con le donne, sappi che ci sono angoli di Spagna che possono darti dei sorrisi al prezzo di una birra. D’altra parte sei sei piacente e sveglio, capiterà che qualche ragazza, dopo averti offerto da bere e averti parlato del fatto che sta col suo ragazzo da 2 anni, “dimentichi casualmente” le sue mutandine nel tuo bagno. e sì che mi aveva detto che andava semplicemente a lavarsi le mani prima di cenare… mi vorrà dire qualcosa?

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Riflessioni illuminanti di quando la vita fa schifo e magari sei sbronzo

trasposizione di sillogismi della nottata di ieri:

Talvolte la vita è un pantano di merda.
Ti imprigiona,
ti impregna di un senso di nullità, di impotenza,
di piattume e prevedibilità.
Tu provi a cambiarla ma ti senti come un criceto che corre in una ruota; provi fatica e affanno, ma non vai da nessuna parte.
In quei momenti di abattimento, mi vengono in mente due cose: 1) i miei studi classici/filosofi preferiti, e 2) il mio amico Rascah, dagli Urali, che ieri, da sbronzo ma in un flash di lucidità, mi parla e mi dice:

Bere merda per bere merda, giacché tutto è un mare di merda
e quindi a noi non resta che bere questa merda col gusto di ingoiarne a galloni godendoci la sensazione della merda che scende giù per la gola e una volta appresa l’arte di ingoiarne a galloni, come se questo fosse l’apice della vita e che sia tutto quello che la vita stessa possa offrire, allora si aprorno un sacco di strade della felicità, dove tutto è possibile.

enorme e dirompente l’analogia con ciò che prima di ascoltare il mio amico, pensavo ieri tornando a casa in sella alla mia bici, ricordando un grande filosofo che diceva spesso ai suoi allievi che:

“quanto più la vita fa schifo, tanto più è gustoso tuffarcisi e sguazzarci dentro come porci nei propri escrementi”.

inoltre sosteneva che:

“Chi non ha capito quanto sia divertente sguazzare nella merda e tirarla addosso a quelli che pensano di essere puliti, non ha capito proprio un cazzo!”.

le persone possono essere distanti, migliaia di chilometri e separati da oceani, montagne e paesi Baschi, ma certe connessioni rimangono per sempre, perché una volta squarciato il telo della vita e della socialità, la verità che ci si nasconde setto, non cambia mai.

storie ispaniche d’amore e degrado.

Che mondo magico la Castilla Leon! è forse la prima regione dove il degrado si concentra per la maggiore, al di fuori della propria capitale.

Quello che ho scoperto in Spagna, è che ogni città in ogni regione, ha il suo punto forte e che la sua determinazione non può che venire dall’analisi dei proverbi locali. Ad esempio, a Toledo, l’espressione “vamos a matar judios” (tradotto: andiamo ad ammazzare i giudei) si usa per dire “andiamo a farci una sangria” e fa pensare all’apertura mentale dei toledani e la loro strana maniera di divertirsi.

Ad Albacete, un detto famoso è: “En Albacete caga y vete” che è un po come dire che Albacete va bene solo per cagarci e andarsene

Parlando invece delle peculiarità di Salamanca, questo detto (apparentemente noto da secoli, e non scherzo) la dice lunga:

  • Salamanca, la que no es puta es manca

che significa che a Salamanca, quella che non è una zoccola, è senza mani… ok, io sono qui da diversi mesi e di ragazze senza mani non ne ho ancora incontrate e quindi a conti fatti… ma no, Cantastorie, è sicuramente un detto popolare, forzatamente volto ad ingigantire una realtà che evidentemente sta stretta a qualche ottuso conservatore moralista; non darai mica peso a queste voci di corridoio, vero? eppure, anche se dopo poche settimane iniziavo a ricredermi, pochi giorni fa ho avuto una ridente conferma della veridicità di questo proverbio.

Venendo al dunque, tempo fa la ragazza di un mio amico è venuta da me a farsi scopare, fallendo miseramente perché ho ancora una moralità e passando la notte sul divano in salone, dopo che l’ho rimproverata. Per giustificare alle sue amiche il fatto che è rimasta a dormire da me, ha detto che ha vomitato tutta notte e che io non ci ho provato perché sono gay.

HAHAHA! il mondo è una cosa fantastica amici miei, mi ci trovo un sacco bene.

honey

La fotosintesi vince! Vita personale nella Spagna caliente

Avete presente quando un vostro spasimante partner vi sta troppo appiccicato e volete sbolognarlo? se siete donne di bell’aspetto, probabilmente sì, se siete uomini e vivete in Lombardia, probabilmente no. cadendo nella categoria “uomini trasferitisi all’estero”, per me è un esperienza del tutto nuova.

mi sta capitando molto frequentemente di sentirmi importunato da delle attenzioni che non voglio. sì, ok, all’inizio la cosa era anche lusinghiera e sono sempre stato carino e gentile con tutte ma ho recentemente scoperto l’esistenza, intrinseca nell’uomo, di un meccanismo di autoconservazione che ci trasforma in puttanelle cocainomani di pieno rispetto quando una persona non desiderata ci sta troppo appiccicata. devo ammettere che il tutto è illuminante e ora, dopo decine di anni, capisco (in parte) perché a volte le donne si inacidiscono a caso con uomini che sì, saranno un po insistenti, ma in fondo non fanno male a nessuno.

veniamo al dunque:

questa è una breve storia liberamente tratta da un esperienza personale recentissima consumatasi per messaggi (qui tradotti dallo spagnolo all’italiano).  Per rispetto della praivasi, chiamerò l’interlocutrice Anna.

  • Anna: ma scusa, perché adesso fai il difficile e non vuoi più uscire con me? cos’è cambiato da prima che partissi per Italia per natale?
  • Cantastorie: non metterla sul personale… è che te l’avevo detto che non cercavo una relazione.
  • Anna: ma ti è capitato qualcosa?
  • Cantastorie: ascolta, sarò franco, sto pensando ad un’altra che ho conosciuto recentemente e sinceramente mi sento un po coinvolto. sarà sicuramente una cagata perché questa mica sarà lì ad aspettarmi, ma per adesso è così, non esco con due ragazze insieme, anche se stanno a 2000km di distanza l’una dall’altra. fattene una ragione. se vuoi usciamo in amicizia, no problem ma niente più, al meno finché non mi sarò schiarito le idee.
  • Anna: quindi te ne vai in Italia e te ne trovi un’altra così?
  • Cantastorie: dai, quante volte siamo usciti io e te? 3? mi sembra presto per dichiarmi di tua proprietà. ti giuro che sarà carino e buono ma adesso devo stare da solo, dico veramente.
  • Anna: ma non hai detto che “non cercavi una relazione”? a me sembra che con questa qui tu abbia una relazione
  • Cantastorie: lo so ma le cose capitano ed evidentemente, non prendertela, non è capitato con te. e che io abbia una relazione con un altra… ti stai spingendo un po lontano.
  • Anna: ma allora cosa vuol dire quel messaggio che mi hai scritto l’ultima volta che ci siamo visti dove mi dicevi “è stato bello?”
  • Cantastorie: cosa vuoi che significhi? adesso però devo studiare, lunedì ho un esame. ci sentiamo più avanti va bene?
  • ————— qui c’è un lungo intermezzo fatto di capricci volti a farmi perdere la pazienza ———————
  • Anna: no, adesso mi dici cosa significa quel messaggio se no m’incazzo!
  • Cantastorie: significa “adoro il sesso in generale. con te o con qualsiasi altra donna. avrei potuto fare sesso con una pianta e avrei mandato alla pianta questo stesso identico messaggio. forse la prossima volta lo farò, mi sembra un’ottima strategia. la fotosintesi vince.”

credo che io e Anna non ci sentiremo più avanti.

Indirizzodelblog! l’unico blog che racconta di storie di sessismo al reverse! al meno finché delle turbo-femministe retrò mi troveranno e puniranno schiaffeggiandomi pubblicamente con dei dildi di gomma e magari avranno anche ragione…. in effetti mi sento proprio una puttanella come Tea’s Tacos, ma in fondo mi piace così 🙂

Vecchiaie. un articolo scaturito da un compleanno.

– “Cantastorie, perché scrivi sempre pezzi cinici, pieni d’odio, neri e pessimistici?”
– “Perché quando sono felice, esco.”

ti accorgi di essere vecchio quando provi ammirazione per personaggi della scena sportiva che sono più giovani di te.

lo stesso ragionamento funziona nel mondo della musica, dello spettacolo, della politica… con la differenza che se provi ammirazione per personaggi della politica, al 96% sei un coglione.
se non vi viene in mente nessuno che ammirate e che è più giovane di voi, perché siete dei minorati mentali, in tal caso vi posso dare una mano:
Cobain viaggiava sui 25 anni quando ha rivoluzionato il suono del rock di quei tempi.
Marunde era uno degli uomini più forti del mondo a 25 anni.
la Monroe aveva 24 anni quando uscì Eva contro Eva (e 26 quando recitava per “gli uomini preferiscono le bionde”)

quando capita ‘sta cosa ti rendi conto che loro cel’hanno fatta perché sono partiti prima di te adesso, perché prima di te adesso, avevano dimostrato talento che tu adesso non hai palesato.
come dire che si è già in ritardo a 25 anni (ipotesi).

comunque c’è gente che è sempre stata in ritardo.
mentale.
quindi in fondo non mi lamento troppo.

con una mia vecchia affair, ora carissima amica (che ogni volta che rivedo, mi ricorda che in circolazione c’è ancora gente degna di stima e col cuore al posto giusto), parlavo recentemente del fatto di essere (ora mai) trentenni e di vivere a casa coi genitori, di non aver ancora finito di studiare, di non avere una professione vera (o di non avere proprio un lavoro), di non essere nemmeno lontanamente nel setting ambientale per avere una famiglia, un futuro o uno spettro di stabilità relazionale-emotiva-sociale-economica (scegline uno, o di più se sei fortunato) e insieme ricordavamo di 20 anni fa, quando di anni ne avevamo 10, vedendo questi trentenni (allora rari) che appunto, vivevano con la mamma e il papà.
“che pezzenti, come si fa ad avere trent’anni ed essere ridotti senza un lavoro? senza una laurea? senza un partner che non sia cosa occasionale e da poco?”
e ora eccoci quà, trentenni senza niente in tasca,
trentenni senza un futuro nitido,
trentenni sui quali non conta nessuno,
trentenni che risparmiano sui 2€ come quando si era al liceo.
trentenni che vanno con le ragazzine perché ora mai le trentenni non hanno neppure più la voglia di scopare.
trentenni che vivono come i ventenni annoiati, nelle loro fetide città periferiche perché non sanno fare altro della loro vita.

poi ogni tanto qualcuno, alla matrix, si risveglia dal suo uovo pieno di placenta appiccicosa e si dice che deve fare qualcosa e allora esce il mio amico Rashiah e dice che dal mese prossimo si trova un appartamento in città, in affitto. ma stellino, dopo che hai venduto al mercato nero il rene di destra e il polmone di sinistra, gli organi ridondanti sono finiti, e poi?
e poi aimé la squallida realtà ti vomita nuovamente in quell’ovetto di placenta appiccicosa a prendere freddo e a marcire. non so come saranno i 35 o i 40 ma temo che saranno pieni di gente che pur di uscire dai 30 di cui parlo ora, si farà piacere qualche orribile sistemazione del cazzo, come lavorare in una cartiera avendo una laurea in chimica o servendo ai tavoli di un ristorante avendo studiato marketing per 6 anni, e sposarsi la prima ragazza con la faccia butterata che non ha trovato nessun altro o il primo ragazzo morto di figa e senza la minima profondità intellettuale, che fuorché un bel visino non ha nulla.
la verità è che diversamente, saremmo trentenni lodevoli, trentenni brillanti, trentenni pieni di spirito come una bottiglia di grappa, ma qualcosa ci schiaccia e ci limita, e per non vivere questa vita di adulti sprecati, ci confiniamo ai primi del 2000 quando giovani, pensavamo che saremmo riusciti a vivere felici delle vite soddisfacenti.
e invece no.

ma dov’è l’inghippo? cosa ci frena? e quindi eccoci arrivati al cuore di tutta questa filippica:
lasciar dire o far dire a giovani adulti (come me) che aumenteranno disastri naturali, guerre, povertà, criminalità, crisi economiche e che la vita è una merda (tutta roba vera) non è propriamente una buona validazione della capacità dei vecchi ad insegnare, ma piuttosto una definitiva condanna della passività di ogni precedente generazione.

stiamo assistendo al perpetuarsi del solito colpevole schema per cui, conservare tutto, comprese la paura e l’immobilità, garantisce al predecessore attenuanti e alibi nel processo intentato, per obbligo storico, da parte del postero. il vecchio imbroglio si ripete puntuale. capisci?
i nostri padri ci fanno piangere per il nostro futuro.
sperando che nessuno faccia niente.

perché se nessuno di noi farà niente, loro saranno giustificati nel non aver fatto niente e la cosa affascinante è che sta succedendo esattamente questo.
l’unica scelta è quella da che parte stare, se tra quelli che non fanno niente o tra quelli che non hanno fatto niente. l’altra scelta, quella che stai pensando adesso, caro mio, è la scelta che hanno fatto quelli che a 25 anni ce l’hanno fatta  e intendo Monroe&Cobain inc.
nel 2000 il gioco della era come una partita a bocce, “arrivare corti” significava sperare che qualche boccia errante, colpendoci, ci avvicinasse al boccino;
e invece amico mio, più passa il tempo e più credo che siamo arrivati lunghi e che questa volta, il boccino ce l’abbiamo alle spalle. possiamo rimanere lì o allontanarci ancora.

ecco tutto.

Categorie:Storie di vita